Atto Costitutivo e Statuto della Associazione

L'Atto Costitutivo, lo Statuto della Associazione, la Scheda di Adesione sono pubblicati sotto la data del 2 febbraio 2013 di questo Blog

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martedì 23 luglio 2013

Istrid e Nato Defense Foundation: Conferenza su Crisi nucleari e sfide politiche. 30 luglio p.v. ore 10


30 LUGLIO 2013 Ore 10-12
Circolo Ufficiali delle Forze Armate d'Italia
- sala millevoi -
Via XX Settembre n.° 2 – Roma
Conferenza
“Pyongyang chiama Tehran? Crisi nucleari e sfide politiche” 
promossa da ISTRID e da
Nato Defense College Foundation
      Prima identificati sbrigativamente con l’“Asse del Male” i due Paesi, nonostante sistemi politici profondamente diversi, sono al crocevia d’importanti mutamenti e sfide politiche. Per l’ultimo paese veterostalinista l’atomica rappresenta un’assicurazione per la vita, ma con quale futuro? Per la potenza emergente del Golfo il programma nucleare è questione di sovranità nazionale, mentre un accordo con gli USA e la comunità internazionale è un’opportunità importante.
Sei esperti nazionali in una tavola rotonda col pubblico ne discutono sulla base di due libri appena pubblicati: L’atomica di Kim, Rubbettino Editore e La minaccia nucleare in Medio Oriente, CLUEB.

 Introduce: Prof. Piercarlo Valtorta, Presidente ISTRID
 Modera: Dr.ssa Alessandra Quattrocchi, Caporedattrice Esteri agenzia TMNews

Tavola rotonda con:
 -        Prof.ssa Claudia Astarita, docente LUISS, ricercatrice CeMiSS
-        Dr. Stefano Felician Beccari, ricercatore CeMiSS
-        Dr. Rodolfo Guzzi, fisico, già ispettore generale dell’ASI
-        Dr. Amir Madani, docente S. Pio V, specialista di politica internazionale
-        Dr. Nunziante Mastrolia, ricercatore CeMiSS
-        Prof. Alessandro Politi, direttore NDCF

Conclude: Amb. Alessandro Minuto-Rizzo, Presidente NATO Defense College Foundation
 Le adesioni confermate saranno accettate fino a copertura del limite massimo di posti disponibili sulla base dell’ordine di conferma.

Per conferme partecipazioni inviare un email a: eventi@istrid.it


martedì 16 luglio 2013

Intitolata l'Aula Magna del CASD a Beniamino Andreatta

Si è svolta, oggi, alla presenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Enrico Letta, e del Ministro della Difesa, Sen. Prof. Mario Mauro, la cerimonia di intitolazione a Beniamino Andreatta, già Ministro della Difesa, dell’Aula Magna del Centro Alti Studi della Difesa (CASD)



"Dalla leva obbligatoria al professionismo militare, dall’ingresso delle donne nelle Forze Armate all’impiego operativo di missioni fuori dal teatro nazionale: in questi passaggi c’è stata la mano di Beniamino Andreatta”.
Con queste parole il Ministro della Difesa, Sen. Prof. Mario Mauro, ha ricordato la figura di Andreatta, Ministro della Difesa dal 1996 al 1998, nel corso della cerimonia durante la quale oggi gli è stata intitolata l’Aula Magna del CASD, la Sala Montezemolo.
Nel corso del suo intervento, il Ministro ha sottolineato che “non potrà esserci un’unità politica dell’Europa senza una dimensione europea della Difesa e senza un accenno di un progetto politico che comprenda la Difesa stessa”.
Il Ministro Mauro ha aggiunto, inoltre, che “le Forze Armate rappresentano per ognuno di noi l’affermazione di quel principio di democrazia che vede le Istituzioni come frutto di un patto di libertà garanti e non padroni della vita dei cittadini”.
A scoprire la targa commemorativa è stato il Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Enrico Letta. La cerimonia - alla quale hanno preso parte anche alcuni ex Ministri della Difesa, Autorità istituzionali e del mondo della cultura, oltre al Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ai Vertici Militari e al Presidente del CASD, Amm. Sq. Rinaldo Veri - è proseguita con la benedizione della targa e dell’auditorium, impartita dall’Ordinario Militare per l’Italia, Mons. Vincenzo Pelvi.
L’iniziativa, promossa dal Ministro Mauro, si inserisce in un progetto teso a valorizzare le figure che nella storia recente del nostro Paese si sono particolarmente distinte per lungimiranza e capacità di innovazione.
L’intitolazione è stata preceduta da un convegno durante il quale sono intervenuti, oltre al Ministro della Difesa,  il Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Enrico Letta, e il Professor Romano Prodi.


Altre Notizie in Primo Piano

lunedì 15 luglio 2013

Intitolazione dell'Aula Magna a Beniamino Andreatta



Oggi alle ore 17.00, 
a Palazzo Salviati (Piazza della Rovere 83), 
sede del Centro Alti Studi della Difesa, 
avrà luogo la cerimonia d’intitolazione dell’Aula Magna a 
Beniamino Andreatta, 
già Ministro della Difesa.

L’iniziativa, promossa dal Ministro Mauro,
 si inserisce in un progetto teso a valorizzare le figure che 
nella storia recente del nostro Paese 
si sono particolarmente distinte per lungimiranza e capacità 
di innovazione.
L’evento sarà preceduto da un convegno celebrativo al quale 
interverranno il Presidente del Consiglio dei Ministri, 
On. Enrico Letta, 
il Presidente Romano Prodi, 
il Ministro della Difesa, Sen. Prof. Mario Mauro,  
il Prof. Filippo Andreatta, docente universitario, 

e il Direttore di Rai News 24, 
Dott.ssa Monica Maggioni.

sabato 6 luglio 2013

Aggiornamenti: Egitto, una difficle situazione

Da Mursi a Mansour
L’Egitto ricomincia da tre
Azzurra Meringolo
04/07/2013
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La nostra autrice ci scrive dal Cairo. "Reset, tutto da rifare. Punto a capo, si rinizia la transizione più preparati di prima". Con queste parole il giovane analista e attivista Bassem Sabry butta giù il boccone amaro dell’intervento militare. Alla scadenza dell’ultimatum che il Consiglio supremo delle forze armate aveva dato al presidente islamista Mohammed Mursi per raggiungere un accordo con i suoi oppositori, mercoledì sera i carri armati sono tornati in alcune strade del Cairo.

Unità nazionale
Per quarantott’ore l’Egitto è stato un paese sospeso sul suo futuro. A “chiarirgli le idee” è stato l’esercito, che ancora una volta si è dimostrato l’ago della bilancia e l’unica istituzione che, nel bene e nel male, ha il polso della situazione egiziana.

Mentre le voci dell’arresto di Mursi si sommavano a quelle che ne annunciavano un suo divieto ad abbandonare il paese, in un comunicato televisivo, il generale Abdel Fattah Al Sissi - capo delle forze armate e anche ministro della difesa - ha annunciato una road map concordata con alcuni esponenti di spicco dell’opposizione e i leader delle principali istituzioni religiose, la chiesa copta e Al-Ahzar - massima autorità dell’Islam sunnita.

Secondo questa scaletta, a prendere il posto di Mursi è Adly Mansour, presidente della Corte costituzionale egiziana che mercoledì ha prestato giuramento e che resterà in carica fino a quando non si terranno le elezioni presidenziali anticipate.

A governare il paese sarà un esecutivo di tecnici e di unità nazionale che dovrà anche dare indicazioni sugli emendamenti al testo costituzionale approvato nel dicembre scorso che è stato ora sospeso. Coadiuvato dalla Corte costituzionale, il governo dovrà anche occuparsi della legge elettorale necessaria per indire elezioni parlamentari.

Importante sarà anche il ruolo di una commissione di riconciliazione nazionale che cercherà di ridurre la polarizzazione esacerbata dagli avvenimenti degli ultimi mesi. Per evitare che in Egitto si instauri una dittatura della maggioranza simile a quella realizzata dagli islamisti.

Colpo soft
Mentre la stampa occidentale titola sul colpo di stato, quella locale - fatta eccezione per i giornali fedeli al presidente - non vi fa accenno, presentando la vicenda in maniera parzialmente diversa. “Messo da parte dalla legittimità popolare” scrive mercoledì lo storico Al-Ahram, il quotidiano governativo statale che stampa la prima pagina con i caratteri grafici dedicati alle giornate storiche. “È una rivoluzione, non un colpo di stato, Mr.Obama” sembra fare eco Al-Tahrir, la testata rivoluzionaria nata dopo la caduta di Hosni Mubarak.

Tecnicamente però un colpo di stato c’è stato, anche se anomalo. Non ha piazzato nessun militare al vertice del paese e si è compiuto a seguito di una campagna popolare di raccolte firma per la destituzione del presidente che ha avuto più di 20 milioni di adesioni.

Come da manuale però, i golpisti - che hanno probabilmente colto al volo l’opportunità di quest’ultima campagna per mettere al sicuro gli interessi anche di parte della vecchia leadership - hanno messo agli arresti il presidente e i suoi più fidi collaboratori. Subito dopo hanno tagliato la spina alle fonti di informazioni più vicine agli islamisti, accerchiando con i cingolati la piazza dove sono ancora riuniti i sostenitori della Fratellanza musulmana e del presidente Mursi.

Circondati dai militari, gli islamisti, abituati a 80 anni di resistenza tra clandestinità e giri di vite violenti, hanno iniziato a scandire slogan contro l’esercito, dando dei traditori agli elicotteri che continuano a sorvolare la loro piazza. In un discorso molto probabilmente preregistrato, Mursi afferma di essere “il presidente eletto” ed esorta i suoi a difendere la sua legittimità. Speculazioni a parte, sulle sue tracce vige però un silenzio di tomba. Eppure i suoi sostenitori continuano a ripetere il suo nome affiancando altre due parole: legittimità e martirio. “Saremo scudi umani” urla uno sheikh dal palco centrale.

Fallimento islamista
Nella notte tra martedì e mercoledì, nelle località di Kafr el-Sheikh e Marsa Matrouh scoppiano i primi scontri tra le fazioni opposte, facendo salire a una ventina i morti di questi ultimi giorni. Al Cairo la situazione è più calma. Nel centro della capitale e davanti all’Ittihadya, il palazzo presidenziale, la festa era iniziata già lunedì sera quando i militari avevano annunciato il loro ultimatum, segno evidente dell’imminenza della fine dell’alleanza tra islamisti ed esercito sponsorizzata dalla Casa Bianca.

Un popolo in festa celebra quello che i giornali chiamano il “successo della legittimità popolare rivoluzionaria”. Poco importa se questa va contro il verdetto delle elezioni democratiche che esattamente un anno fa avevano eletto Mursi successore di Mubarak.

Per l’Islam politico globale, il fallimento della Fratellanza musulmana - un movimento che anche quando è andato al potere ha continuato a ragionare come un attore clandestino - è una sconfitta che avrà importanti ripercussioni regionali.

Per Mohammed el-Baradei, ex segretario generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e leader dell’opposizione che ha partecipato alla stesura della Road map militare, quest’ultima mossa delle forze armate “rettifica il corso della rivoluzione” che stava deragliando nelle mani degli islamisti.

Resettando il sistema e cancellando parte degli errori commessi dall’opposizione, il golpe morbido dei militari egiziani offre ai movimenti civili l’ennesima opportunità di affermarsi. Questa volta però si riparte dai lasciti del vecchio regime. Quanti si rimettono in marcia, intraprendono un percorso sapendo che, qualora dovesse riuscire ad affermarsi, dovrà parte del suo successo alle onnipresenti forze armate.

Azzurra Meringolo è dottoressa in Relazioni Internazionali presso l’Università di Bologna. Ha ottenuto il dottorato con una tesi su "L'anti-americanismo egiziano dopo l'11 settembre: governo e opposizione nello specchio dei media", che si è aggiudicato il premio Maria Grazia Cutuli 2012. È autrice di "I Ragazzi di piazza Tharir" e vincitrice del premio giornalistico Ivan Bonfanti 2012. Ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI), è coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir. Egitto, Il nuovo volto dell’Egitto, Rivolte arabe, Giovani e rivoluzioni, Mediterraneo.
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Aggiornamenti: rapporti tra Stati Uniti ed Europa.

Nato e sicurezza globale
Obama chiama l’Ue
Giovanni Faleg
03/07/2013
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I discorsi di Barack Obama a Berlino (21 giugno) e del rappresentante statunitense presso la Nato, Ivo Daalder, a Bruxelles (17 giugno) offrono interessanti spunti di riflessione sul significato di decoupling e burden sharing, due elementi che hanno caratterizzato le relazioni transatlantiche negli ultimi cinquanta anni.

Mani libere
Il primo concetto - decoupling - riguarda il timore europeo che la sicurezza del vecchio continente sia slegata da quella americana. “Gli Stati Uniti sarebbero disposti a sacrificare Boston per salvare Amburgo?”, questa la profonda inquietudine delle cancellerie europee durante la guerra fredda. A più di vent’anni dal crollo del muro di Berlino, cambia la terminologia, ma la questione del decoupling rimane d’attualità.

Adesso gli esperti di sicurezza parlano di pivot americano verso l’Asia, di irrilevanza strategica dell’Europa, gravemente colpita dalla crisi finanziaria ed economica. La sicurezza non è più solo militare o nucleare, è anche economica e politica. Ci si chiede allora se gli Stati uniti sarebbero disposti a sacrificare i rapporti con Pechino per salvare quelli con Berlino. Il legame transatlantico è messo alla prova dalle potenze emergenti, dalle ancora indecifrabili dinamiche di un nuovo equilibrio multipolare, nel quale l’Europa sembra spostarsi inesorabilmente verso la periferia.

Il discorso di Obama davanti alla Porta di Brandeburgo di Berlino chiarisce l’ennesimo malinteso fra americani ed europei. In assenza di una minaccia diretta e nell’illusione della fine della storia, “la tentazione”, ammette Obama, “è quella di rinchiudersi”, di isolarsi ignorando nuove minacce, dal terrorismo all’intolleranza che fomenta gli estremismi.

Ma “l'autocompiacimento non è nel carattere delle grandi nazioni” e tali sfide possono essere affrontate solo se Europa e Stati Uniti intendono la loro relazione come qualcosa di più della somma di esperienze individuali, come una comunità di valori. L’Alleanza atlantica è “il fondamento della sicurezza globale” così come i legami commerciali fra le due sponde dell’Atlantico sono il motore dell’economia globale. Rievocando lo spirito di Berlino, Obama descrive quindi la preminenza strategica del legame fra America e Europa.

L’intervento di Daalder al Carnegie Europe di Bruxelles, ultimo discorso pubblico in qualità di ambasciatore degli Stati Uniti presso la Nato, pone alcune condizioni per il rafforzamento della comunità transatlantica. Anche in questo caso, vi è un importante elemento di continuità. Il burden sharing, ovvero il contributo degli europei allo sforzo militare dell’alleanza, in particolare sotto il profilo delle spese per la difesa, è una vecchia preoccupazione americana. Con la fine della guerra fredda e la scomparsa della minaccia sovietica, le capacità militari europee sono andate tuttavia drasticamente riducendosi.

La crisi finanziaria, accompagnata a pesanti investimenti delle potenze emergenti nella difesa, hanno peggiorato ulteriormente il quadro. Se da una parte Daalder riafferma la capacità di America ed Europa di “affrontare insieme qualsiasi sfida”, dall’altra mette l’accento sull’insostenibile disparità degli sforzi volti a mantenere in vita l’Alleanza: “un crescente coro di voci a Washington”, osserva Daalder “chiede che gli alleati contribuiscano maggiormente alla divisione delle spese”. In altre parole, dal discorso emerge chiaramente come la rilevanza strategica dell’Europa sia, secondo l’ottica americana, legata alla rilevanza militare della Nato, i cui costi devono essere ribilanciati - attualmente, il contributo degli Stati Uniti ammonta al 75% delle spese totali dell’Alleanza.

Saldare il conto
Citando un film della fine degli anni Novanta, nella vita alcune cose non cambieranno mai, altre invece cambiano. Sia il decoupling che il burden sharing continuano ad essere elementi chiave della dialettica transatlantica. Il mondo multipolare pone però nuove importanti sfide, alle quali né gli Stati Uniti né l’Europa si possono sottrarre. In questo senso, lo spostamento o pivot verso Est non interessa soltanto gli interessi strategici americani, ma le più ampie dinamiche di potere internazionali.

Allo stesso tempo, ondate di instabilità politica e sociale continuano ad interessare il vicinato europeo (ieri i Balcani, oggi il Mediterraneo), con nuove minacce asimmetriche che richiedono lo sviluppo di politiche originali e di lungo termine; ma anche di capacità e tecnologie adeguate per la gestione delle crisi nel breve o brevissimo periodo.

È proprio nel rapporto fra sfide vicine e lontane, fra risposte di lungo termine e rapidi interventi di gestione delle crisi che si gioca il futuro delle relazioni fra alleati americani ed europei. Da Washington arrivano segnali della volontà americana di agire insieme, unendo la compatibilità degli obiettivi strategici alla condivisione degli oneri.

Come ha precisato Daalder, la mancanza di investimenti oggi riduce le capacità di domani e rinforza le minacce. L’amministrazione Obama non è, come erroneamente si crede, indifferente alle questioni europee. Al contrario, dai discorsi di Berlino e Bruxelles emerge un’offerta degli Stati Uniti agli alleati europei, tesa a rifondare un’alleanza più forte, ma anche più europea.

L’Europa non può esimersi dal dare una risposta. È una prova di maturità politica. Da una parte, vi è l’impopolarità delle spese per la difesa in tempi di crisi economica. Dall’altra, la consapevolezza, poco diffusa a livello di opinione pubblica, che la sicurezza ha un costo, e l’America non è - logicamente - disposta a pagare la parte del conto che non le spetta.

Occorre allora razionalizzare, europeizzare le spese della difesa ridurre i costi sui singoli stati europei, attuare i programmi di smart defence e di pooling and sharing. Un’utopia fino a pochi anni fa. Oggi, l’unica condizione per il mantenimento di un saldo legame transatlantico. Affrontare da soli le sfide di sicurezza, nel vicinato europeo ed oltre, ci costerebbe molto di più.

Giovanni Faleg è ricercatore dello IAI.
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mercoledì 3 luglio 2013

64 Sessione: benvenuta






Alla data odierna, hanno presentato domanda di iscrizione alla Associazione Seniores IASD 
41 ex frequentatori della 64 Sessione IASD.
Via e mail è stato già loro comunicato che la loro domanda è stata ricevuta e sarà quanto prima inserita nell'Ordine del Giorno del prossimo Consiglio Direttivo