Atto Costitutivo e Statuto della Associazione

L'Atto Costitutivo, lo Statuto della Associazione, la Scheda di Adesione sono pubblicati sotto la data del 2 febbraio 2013 di questo Blog

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giovedì 29 maggio 2014

Roma Moderna: Annibale Carracci

Ricerca a cura di Adele Pizzullo
Carracci, Annibale (1560-1609)
Annibale Carracci nasce il 3 novembre 1560 a Bologna. Istituisce nel 1582, insieme a Ludovico ed Agostino Carracci (rispettivamente il cugino ed il fratello), l’Accademia dei Desiderosi che cambierà nome nel 1590 per chiamarsi Accademia degli Incamminati. Questa istituzione rimane per molto tempo il punto di riferimento classico dell’arte seicentesca. Nelle opere di Annibale Carracci si percepisce quella reazione che è quasi un rifiuto al manierismo, in una nuova ricerca senza rincorrere gli effetti spettacolari che superano la natura. Le sue ricerche lo portano invece verso una riconquista dei valori della pittura classica attraverso lo studio dei grandi artisti che lo hanno preceduto, come Michelangelo, Raffaello, Correggio e Tiziano.
Le sue prime opere firmate e datate dal 1583 al 1586 appartengono al periodo dei soggiorni toscani e veneziani e, qualche anno più tardi, la sua produzione sarà considerata tra le più pregiate fra quelle dei grandi artisti attivi nell’Italia settentrionale. La sua fama arriva fino a Roma e l'artista viene quindi incaricato dal Cardinale Odoardo Farnese per affrescare le sale del camerino a Palazzo Farnese. Il ciclo decorativo raffigura storie mitologiche in una serie di opere autonome dove spiccano Polifemo e Galatea, Giove e Giunone, il trionfo di Bacco e Arianna.
Nel 1597, in seguito al successo degli affreschi al camerino di Palazzo Farnese, Odoardo gli assegna la decorazione della volta del salone principale, ampia circa diciotto metri quadrati. Qui raffigura le storie mitologiche prese dalle Metamorfosi di Ovidio e le Virtù protette da Perseo. Nel 1602 e nel 1604 lavora alle lunette della cappella del Palazzo Aldobrandini realizzando le “Storie della Vergine".
Morirà a Roma nel 1609.

Nel testo "Roma Moderna "tra i quadri che si trovavano a Palazzo Salviati  si fa riferimento ad una Maria Maddalena in un paesaggio, anno 1598 circa, olio su tavola, (Fitzwilliam Museum, Cambridge) .

Roma Moderna: Carlo Maratta

Ricerca a cura di Adele Pizzullo

Maratta, Carlo (1625-1713)

Nacque a Camerano, nei pressi di Ancona, il 18 maggio 1625, figlio di Tommaso (di natali dalmati) e di Faustina Masini.  Grazie al sostegno economico dell'amico di famiglia Corinzio Benincampi (segretario di Taddeo Barberini, nipote di Urbano VIII), appena undicenne il M. si trasferì a Roma dove fu ospitato dal fratellastro Bernabeo Francioni (pittore a sua volta, ma di nessuna fortuna). Subito dopo il suo arrivo, probabilmente nello stesso 1636, egli entrò a far parte della prestigiosa bottega di Andrea Sacchi, presso la quale rimase sino alla morte del maestro nel 1661: e di questo ben presto il M. divenne il migliore collaboratore e seguace, al punto di meritare il soprannome di "Carluccio d'Andrea Sacchi". I primi anni romani del M. furono altresì caratterizzati da uno studio caparbio dei testi chiave del Rinascimento maturo, in primis le opere vaticane di Raffaello, esempio affatto ineludibile stante la sua immediata adesione al paradigma classicistico. In stretto contatto con G. P. Bellori, che talvolta ne ispirò le composizioni, e con N. Poussin, nel 1650 esordì con la Natività (Roma, S. Giuseppe dei Falegnami) che attesta la sua adesione alla tendenza classicheggiante del tardo barocco romano. Protetto da Alessandro VII, lavorò prevalentemente a Roma dipingendo, con eleganza formale, grandi quadri d'altare: tra il 1653 e il 1656 circa per la cappella dedicata a S. Giuseppe nella chiesa romana di S. Isidoro, lo Sposalizio della Vergine per l'altare maggiore (requisita nel 1798 da parte dei francesi durante l'occupazione di Roma, in esecuzione delle clausole del trattato di Tolentino, e sostituita in loco da una copia) e le due laterali, il Transito di s. Giuseppe (pure trafugata nella stessa circostanza e sostituita da una copia) e la Fuga in Egitto; due lunette ad affresco, Il Sogno di S. Giuseppe e l'Adorazione dei pastor) e l'affresco della cupola con la Gloria di s. Giuseppe con angeli e santi; S. Agostino e il mistero della ss. Trinità, del 1655-56 circa, S. Maria dei Sette Dolori; Visitazione, 1656, Santa Maria della Pace, la pala con S. Pietro presenta alla Vergine cinque nuovi santi: Luigi Beltrame, Rosa da Lima, Filippo Benizzi, Francesco Borgia, Gaetano da Thiene, 1672, S. Maria sopra Minerva; Morte di S. Francesco Saverio, 1679, chiesa del Gesù; Gloria dei santi Ambrogio e Carlo, 1685-90, San Carlo al Corso,  cicli di affreschi celebrativi (Trionfo della Clemenza, 1673, Roma, palazzo Altieri; Nascita di Venere, 1680, Frascati, villa Falconieri) caratterizzati dalla grandiosità dell'impianto compositivo e da armoniosi accordi cromatici.
A partire dal 1666 il M. fu impegnato dal cardinale Antonio Barberini in un ciclo di tele dedicato agli Apostoli, che in origine era stato affidato a Sacchi (quasi tutti gli esemplari esistenti sono oggi conservati nella Galleria nazionale d'arte antica a Palazzo Barberini a Roma).
Morì a Roma il 15 dicembre 1713, le sue spoglie furono onorate con incredibile sfarzo e partecipazione. Un testimone illustre documentò come al funerale, "oltre alla gran parte della gente si romana che forestiera, concorsero anche molte signore e principesse, principi e prelati, coi nipoti di Sua Santità. Che, uniti tutti agl'Accademici di San Luca, fecero una sì pomposa mostra in tal funzione che più nobile non poteva farsi per ogn'altro meritevole personaggio" (Baldinucci, p. 305).

Roma Moderna: Robusti Jacopo detto il Tinoretto

Ricerca di Adele Pizzullo, Seniores IASD Staff
 
Robusti, Jacopo detto il Tintoretto
                                            (1519-1594)                                                                                                                                                       
Pittore  del Rinascimento Italiano, figlio di un tintore di panni da cui deriva il soprannome, nasce a Venezia nel 1519 e trascorre tutta la vita nella sua città, eccezion fatta per un viaggio a Roma e una visita a Mantova. Da non confondersi col figlio Domenico Robusti, anch'esso soprannominato "Tintoretto". L'unico documento ufficiale da cui ricavare dati sulla vita del Tintoretto è il necrologio custodito a San Marziale che fa riferimento alla morte di “Jacopo Robusti detto Tintoretto”, avvenuta il “31 maggio 1594”, all’età “de anni settantacinque”. Notando l'inclinazione naturale del figlio per il disegno, il padre Battista Robusti, lo collocò come apprendista nella bottega del grande pittore Tiziano Vecellio, ancora in adolescenza, per vedere se aveva le qualità dell'artista.Alcuni storici raccontano che, dopo solo dieci giorni, il Tiziano lo avrebbe cacciato dalla sua scuola, probabilmente non per gelosia, quanto per divergenze artistiche e caratteriali, dato lo spirito ribelle del giovane allievo, chiamato scherzosamente dai compagni  "grano di pepe" e la limitata pazienza di Tiziano che aveva già 56 anni di età. Jacopo Robusti continuò a studiare da solo, con sacrifici e fatica. Utilizzando i modelli di Michelangelo divenne esperto nella modellazione in cera ed in argilla, come faceva Tiziano Vecellio, cosa che poi gli tornò utile nella elaborazione dei suoi quadri e alla realizzazione della sua idea dell'arte e della sua ambizione personale riassunte nell'iscrizione messa in evidenza nel suo studio "Il disegno di Michelangelo ed il colorito di Tiziano". Nel 1546 Tintoretto dipinge per la chiesa della Madonna dell'Orto tre delle sue opere principali: Adorazione del Vitello d'oro, la Presentazione della Vergine al Tempio e il Giudizio Universale ora vergognosamente ridipinto. Nel 1548  è ingaggiato per quattro immagini nella Scuola Grande di San Marco: Il ritrovamento del corpo di San Marco ad Alessandria (ora nella chiesa degli Angeli, Murano), Corpo del Santo portato a Venezia, Un devoto del Santo indemoniato (queste due sono nella biblioteca del palazzo reale, Venezia), e il grande e giustamente celebrato Miracolo dello schiavo, con il quale Tintoretto si impone all’attenzione generale.
Nei suoi lavori continua ad essere evidente l'impronta tizianesca specialmente nelle scelte cromatiche e la perfezione di  Michelangelo nell'anatomia dei corpi. Una quindicina di anni dopo, su commissione della medesima Scuola Grande (1562), Tintoretto dipinge altri quadri  raffiguranti i miracoli di San Marco, fra i quali spicca “Il ritrovamento del corpo”, fulgido episodio concepito all’interno di un ambizioso programma iconografico comprendente le “Storie della Passione”, dell’“Antico” e del “Nuovo Testamento”, le “Storie dell’infanzia della Vergine e di Cristo”. Nel “Serpente di bronzo”, collocato nella sala grande della Scuola, la fusione di naturale e sovrannaturale si esplica in una mirabile efficacia rappresentativa.
Nel maggio 1564 i consiglieri della Scuola Grande di San Rocco decidono di far decorare a proprie spese il soffitto de "Albergo" – la sala delle riunioni della “giunta” -, nella nuova sede costruita dietro l’abside della Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari. Tintoretto, invitato a partecipare al concorso, presenta un modello per una tela rappresentante "La gloria di San Rocco". Inizia così una collaborazione, destinata a durare un ventennio (si concluderà soltanto nel 1587), che farà sì che le sale della Scuola di San Rocco si riempiano di opere dell’artista, fino a costituire un immenso poema figurato, la cui importanza è stata talvolta paragonata a quella della Cappella Brancacci di Firenze o della Cappella Sistina di Roma.Il tema trattato sulle pareti  Allievo di A. Sacchi; si formò studiando soprattutto le opere di Raffaello e dei Carracci. In stretto contatto con G. P. Bellori, che talvolta ne ispirò le composizioni, e con N. Poussin, nel 1650 esordì con la Natività (Roma, S. Giuseppe dei Falegnami) che attesta la sua adesione alla tendenza classicheggiante del tardo barocco romano. Protetto da Alessandro VII, lavorò prevalentemente a Roma dipingendo, con eleganza formale, grandi quadri d'altare (Visitazione, 1656, Santa Maria della Pace; Morte di s. Francesco Saverio, 1679, chiesa del Gesù; Gloria dei santi Ambrogio e Carlo, 1685-90, San Carlo al Corso), intensi ritratti (Maria Maddalena Rospigliosi, Louvre; Andrea Sacchi, Prado; Cardinale Antonio Barberini, Roma, Galleria naz. d'arte antica) e cicli di affreschi celebrativi (Trionfo della Clemenza, 1673, Roma, palazzo Altieri; Nascita di Venere, 1680, Frascati, villa Falconieri) caratterizzati dalla grandiosità dell'impianto compositivo e da armoniosi accordi cromatici.dell’Albergo è la "Passione". Le scene con "Cristo davanti a Pilato", la "Salita al Calvario" e la Crocifissione rivelano uno stile ormai maturo e una linea figurativa che risente di una spiccata teatralità nell’illustrazione narrativa e di una notevole sensibilità per i valori spaziali e dinamici. Fra il 1575 e il 1581 Tintoretto dipinge, nella Sala Grande al primo piano della Scuola di San Rocco, accanto all’Albergo, prima le tele del soffitto con temi biblici, quindi quelle delle pareti con temi evangelici: rimarchevole, per originalità luministica e cromatica, la "Adorazione dei pastori". Fra il 1583 e il 1587 viene completato il grande ciclo di San Rocco, con la realizzazione delle tele della Sala Inferiore, che annoverano diverse scene della "Vita della Vergine" e della "Infanzia di Cristo", "Santa Maria Maddalena leggente" e "Santa Maria Egizìaca in meditazione".
Mentre attende alle tele della Scuola di San Rocco, Tintoretto dipinge anche per i privati, per le chiese, per il governo: fra le sue ultime fatiche, la decorazione di una parete della Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale, con la raffigurazione del "Paradiso", immensa tela affidata il 1592 e il 1594 per il presbiterio di San Giorgio Maggiore (“Raccolta della manna”, “Ultima Cena”, “Deposizione di Cristo nel Sepolcro”), la tensione drammatica tipica delle sue composizioni raggiunge accenti talora accesamente visionari, talora di più intima concentrazione spirituale.
Colto da febbre e da dolori allo stomaco che gli ha impediscono di mangiare e dormire per una quindicina di giorni, Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, muore  il 31 Maggio 1594 e viene sepolto nella chiesa della Madonna dell'Orto al fianco di sua figlia Marietta.

Roma Moderna: di Cosimo di Mariano, Agnolo detto il Bronzino

Ricerca a cura di Adele Pizzullo, Seniores Staff
 
di Cosimo di Mariano, Agnolo detto il Bronzino  (1503– 1572)
Ritrattista ufficiale alla corte di Cosimo I de’ Medici, Agnolo di Cosimo di Mariano, detto il Bronzino, è uno fra i più grandi pittori italiani del Cinquecento. Figlio di un modesto macellaio, verso il 1515 iniziò a lavorare nella bottega del Pontormo collaborando con il maestro agli affreschi delle ville medicee di Poggio a Caiano e di Careggi e in seguito alle decorazioni della Certosa del Galluzzo. Il soprannome "Bronzino", dovuto forse al colore dei capelli, è attestato per la prima volta in una serie di pagamenti che l’artista ricevette intorno al 1530. L’anno successivo si trasferì a Pesaro lavorando per un biennio per la famiglia Della Rovere.Alla morte prematura di Raffaello, che era il ritrattista dei Medici di Firenze, Agnolo Bronzino prende il suo posto, ritraendo Cosimo de' Medici e altri familiari. Nel 1540 il Duca Cosimo I lo nomina Pittore di Corte e, nel 1545, l'artista inizia la decorazione della cappella privata della moglie del Duca, Eleanora di Toledo nel Palazzo Vecchio con cinque affreschi e una grande tavola d’altare, evidenziando un allontanamento dallo stile del Pontormo e insieme un deciso influsso michelangiolesco (comune a tutti i rappresentanti del manierismo fiorentino). L’influenza di Michelangelo si manifestò in misura ancora più palese nell’affresco Passaggio del Mar Rosso, realizzato dopo l’ingresso nell`Accademia Fiorentina nel 1541, che segnò l’apice della sua maturazione artistica. Nello stesso periodo eseguì altri dipinti a sfondo sacro e profano e numerosi cartoni per l`Arazzeria medicea, fra questi anche un originale ritratto di Eleonora di Toledo con il figlio Giovanni de' Medici, dipingendo i suoi soggetti, forse un poco freddi, ma estremamente eleganti, senza apparire pretenziosi. Fu tuttavia nella ritrattistica che il Bronzino dimostrò al meglio tutti i caratteri della sua pittura nitida, elegante ed armonica con un linguaggio pittorico delicatamente formale, con fredde e chiare gamme cromatiche ed una stesura di colori piana . Il Bronzino realizzò anche molte pale d’altare per varie chiese fiorentine. Nonostante la fama e il prestigio di cui ormai godeva, a partire dalla metà degli anni 50 iniziò a perdere lentamente il favore dei Medici, finché nel 1564 Cosimo I gli tolse il salario di pittore ufficiale per passarlo al Vasari, artista emergente autore fra l’altro del progetto degli Uffizi e della trasformazione di Palazzo Vecchio.Il miglior lavoro di Agnolo Bronzino è il "Ritratto di un giovane uomo" che sembra sia stato fatto nel 1535 e sia servito al pittore per conquistare i De' Medici. Bronzino ci ha lasciato una raffigurazione di se stesso nel grande affresco "Martirio di San Lorenzo" dipinto nel 1569, nella Chiesa di San Lorenzo a Firenze, dove si raffigura vecchio, aveva già 67 anni, con una lunga barba bianca, per questo lavoro ricevette aspre critiche per l’eccessivo numero di corpi nudi di chiaro stile michelangiolesco (non più in voga).
Il pittore, considerato uno dei maggiori manieristi italiani, morì a Firenze,  il 23 novembre 1572 e venne sepolto nella Chiesa di San Cristoforo degli Adimari.

Roma Moderna: Lodovico Cardi detto il Cigoli

Ricerca a cura di Adele Pizzullo
 
Cardi, Lodovico detto il Cigoli ( 1559-1613)
Lodovico Cardi detto il Cigoli (Cigoli di San Miniato, 21 settembre 1559 – Roma, 8 giugno 1613) è stato un pittore, architetto e scultore italiano. Fu attivo a cavallo tra il periodo del manierismo e il barocco. Formatosi a Firenze, sotto la guida di Alessandro Allori e Bernardo Buontalenti, operò a Parigi e negli ultimi anni della sua vita a Roma, durante il pontificato di Papa Paolo V Borghese. Fu compagno di studi e grande amico di Galileo Galilei. Durante la sua vita artistica si occupò di pittura, arti plastiche, anatomia pittorica, scenografia, letteratura e musica. Ebbe il merito di aver portato il manierismo a Firenze e di essere accolto tra i primi all'Accademia della Crusca. Negli ultimi anni della sua vita fu nominato cavaliere di Malta.
Il 3 aprile 1604 arrivò a Roma per rimanervi stabilmente, dove venne ospitato dai Medici e da Don Virginio Orsini. Questo sicuramente rappresenta il periodo nel quale il Cigoli raggiunse la sua massima espressione pittorica, al quale risale l'opera emblematica per eccellenza del Cardi, l'Ecce Homo, commissionato da Monsignore Massimo, vincendo la concorrenza del Passignano e del giovane Caravaggio. Strinse, inoltre, amicizie importanti con uomini illustri del mondo ecclesiastico, quali i cardinali Arrigone, Barberini, Del Monte, Montalto e Scipione Borghese, degli ambienti intellettuali e scientifici capitolini, come i sostenitori di Galileo nell'Accademia dei Lincei e artistici, quali soprattutto l'amico Passignano, i Carracci. Nello stesso periodo venne eletto all'Accademia di S. Luca.Fu costretto a lasciare nuovamente la città dall'autunno del 1604 al Maggio del 1606, anni nei quali fu di nuovo chiamato a lavorare per i Medici a Firenze, dove dipinse l'incoronazione di Cosimo I (Pisa, chiesa dei cavalieri), il Martirio di s. Giacomo (Polesine, chiesa di S. Giacomo), l'Adorazione dei Magi (per la cappella Albizzi in S. Pietro Maggiore a Firenze). Tornato nuovamente a Roma nel 1607, partecipò al concorso per la realizzazione della facciata di San Pietro, in preparazione del quale produsse una quantità innumerevole di modelli architettonici senza ottenere l'incarico.Il 21 settembre raggiunse,per l'ultima volta nella sua vita, Firenze dove depose il testamento e dipinse, tra il 1607 e il 1608, le ultime opere fiorentine: la Deposizione ( palazzo Pitti), la Carità (Palazzo Pitti), La vocazione di S. Pietro (Palazzo Pitti) e la Nascita della Vergine ( Pistoia, chiesa di S.Domenico) e per realizzare le scenografie in onore del matrimonio di Cosimo II con Maria Maddalena d'Austria.Nel 1608 fece ritorno a Roma, dove rimarrà fino alla sua morte in via della Sapienza, sede inoltre della sua bottega, nella quale hanno lavorato personalità del calibro di Domenico Fetti e Sigismondo Coccapani. Tra il 1608 e 1610 vennero a lui commissionate due opere di grandi dimensioni: il San Pietro che guarisce lo storpiato per la basilica vaticana e la Deposizione di San Paolo per l'omonima basilica fuori dalle mura, entrambe andate perdute a seguito del deterioramento dovuto alla scarsa qualità della base per la prima, e dell'incendio subito dalla basilica ostiense nel 1829.Nel 1610, in occasione della costruzione della grandiosa cappella in Santa Maria Maggiore voluta da Papa Paolo V Borghese, al Cigoli venne commissionato di affrescarne la cupola. L'affresco raffigurava la Vergine coronata da 12 stelle in piedi sopra la luna "col primo paesaggio lunare visto attraverso il telescopio di Galileo, nello stesso ano il cardinale Scipione Borghese gli ordinò di affrescare la loggia di un casino della sua villa al Quirinale, successivamente di proprietà dei Rospigliosi-Pallavicini. Il Cigoli decise di rappresentare quattro storie della favola di Psiche [15], opera che a seguito della demolizione del casino per consentire l'ampliamento di via nazionale furono portate nella Galleria Capitolina, nella quale in un primo momento vennero attribuite ad Annibale Carracci, poi scoperta in un angolo la sigla L.C. fu pensato di attribuirla a Lodovico Carracci zio di Annibale. Ma con la pubblicazione nel 1913 della biografia di Lodovico Cardi-Cigoli del 1628 (opera del nipote Giovan Battista Cardi e custodita nella Galleria degli Uffizi), venne alla luce una minuziosa descrizione dell'opera capitolina la cui consacrazione al Cigoli avvenne con la scoperta del poemetto inedito di ncesco Bracciolini dell'Api intitolato Psiche rinvenuto presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze: "Cigoli, la tua man pronta e spedita che il mondo errante imitatrice appella, genera veramente e non imita" [16] L'attribuzione fu successivamente confermata anche da studi effettuati da Anna Matteoli sul rapporto epistolare tra il Cardi e Galileo. Nell'aprile del 1613 venne nominato Cavaliere dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme.
Morì improvvisamente l'8 giugno 1613 all'età di 54 anni, a seguito di una febbre violenta.Il corpo venne sepolto in un primo momento nella chiesa di S. Giovanni de' Fiorentini. Successivamente le sue spoglie vennero trasferite a Firenze nella chiesa di santa Felicita

Roma Moderna: Francesco De Rossi detto Checchino Salviati

Ricerca a cura di Adele Pizzullo
 
DE ROSSI,Francesco detto Cecchino Salviati (1510-1563)

Figlio di Michelangelo, tessitore di velluti, secondo il Vasari nacque a Firenze nel 1510. Un cugino favorì il suo precoce interesse per l'arte prestandogli alcuni disegni da studiare.
Tra il 1526 ed il 1527 studiò con B. Bandinelli, successivamente (527-29 c.) con R. Piccinelli e con Andrea del Sarto (1529-30).Dal 1531 al 1539 il D. fu a Roma, dove entrò al servizio del cardinale Giovanni Salviati, di cui adottò il nome. Il Vasari lo seguì subito a Roma e insieme intrapresero l'ambizioso programma di ricopiare opere d'arte antiche e . Sono perdute molte delle opere di questo periodo, citate dal Vasari: una cappella decorata per il cardinal Salviati (presumibilmente nel palazzo dei Penitenzieri), pitture per Filippo Segardi nella chiesa di S. Maria della Pace, scene della Campagna di Tunisia di Carlo V sull'arco di S. Marco (dipinte in occasione dell'entrata dell'imperatore a Roma nell'aprile 1536).
Decorazioni e lavori di interni a Roma:
San Marcello al Corso, 1562, Storie della Vergine, affrescato per il cardinale Matteo Grifoni (cappella Grifoni, terza a destra).
Basilica di Santa Maria del popolo, 1554, Secondo il Vasari completa la cappella Chigi: le figure terminali della pala d'altare con la Nascita della Vergine di Sebastiano del Piombo, i tondi con le Stagioni e le michelangiolesche Storie della Genesi nel tamburo della cupola.
Galleria Colonna, 1553, Adamo ed Eva realizzato per Alamanno Salviati.
Palazzo Sacchetti, 1553, Ciclo di Davide per il cardinale G. Ricci.
Villa Giulia a Via Flaminia, 1553, Due figure all'entrata dell'emiciclo.
Palazzo Farnese, 1552, Decorazione del "salotto", per il cardinale Ranuccio.
Convento e chiostro di San Giorgio o dei Piceni, 1551 - 1552, Nozze di Cana nel refettorio.
San Giovanni decollato dei Fiorentini, 1550, Santi a fianco dell'altare e Nascita del Battista.
Santa Maria dell'Anima, 1549, Decorazioni della cappella del margravio di Brandeburgo.
Cappella del Pallio nel Palazzo della Cancelleria, 1548, Decorazioni.
Oratorio dell'Arciconfraternita di San Giovanni decollato della misericordia, 1538, Visitazione. seconda scena a destra.
Galleria Pallavicini, Palazzo Della Valle,Palazzo Doria Pamphilj,Palazzo Sciarra Colonna di Carbognano.
San Francesco a Ripa, Annunciazione della vergine, pala dell'altare. seconda cappella sinistra, Visitazione di San Elisabetta, tra due virtu cardinali nella lunetta. seconda cappella sinistra, Natività della Madonna, tra due virtu cardinali nella lunetta. seconda cappella sinistra.
L'ultima commissione del D. fu il ciclo con le Storie della Vergine, affrescato intorno al 1562-63 a S.Marcello al Corso per il cardinale Matteo Grifoni.
Morì l'11 novembre 1563 a Roma e fu sepolto in S. Girolamo della Carità.

 

Roma Moderna: Giovanni Maria Morandi

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MORANDI,Giovanni Maria  (1622-1717)
Nacque a Firenze nel 1622. A Firenze fu allievo di Giovanni Bilivert e Orazio Fidani . Non lasciò molto nella sua città natale ma viene ricordato un suo grande quadro di Cristo alla colonna per l'Oratorio dei padri Filippini citato nel Ristretto delle cose più notabili della città di Firenze di Raffaelo Del Bruno (1757).
La maggior parte della sua attività si svolse a Roma. In questa città dipinse numerose pale d'altare come Il transito della Vergine (1664) che si trova in Santa Maria della Pace. Lavorò anche in Santa Maria in Vallicella, dove dipinse la pala de La Pentecoste, in Santa Maria del Popolo dove fece la pala della Visitazione (1659) e quella del Martirio di San Lorenzo e in Santa Maria dell'Anima, La Visitazione e Il matrimonio della Vergine. Realizzò anche i dipinti per due ampi saloni di Palazzo Salviati a Trastevere il cui ampliamento era incominciato nel 1657 per volontà del figlio di Jacopo, Francesco Maria. Citate erroneamente come affreschi (Waterhouse, 1967), le tre opere, su tela secondo Nicola Pio, raffiguranti Arianna e Bacco, Aurora e Cefalo e il Tempo divora le Ore sono andate perdute nel 1883, quando le stanze del palazzo furono adibite a dormitorio del collegio militare.Fu membro dell'Accademia dell'Arcadia con il nome di Mantino Agoriense, come ci riferisce il Crescimbeni nella sua Istoria della Volgar Poesia, e dell'Accademia di San Luca. Fra i suoi committenti ci furono l'Imperatore Leopoldo I, per il quale lavorò come ritrattista, e il papa Alessandro VII Chigi sotto il cui pontificato Morandi ricevette la maggior parte commissioni sia per le chiese di Roma che per quelle di Siena, città d'origine della famiglia Chigi di cui fu ritrattista ufficiale. Fra i suoi ritratti papali si ricordano, oltre quello di Alessandro VII, quelli di Clemente IX e Innocenzo XI.Visitò e lavorò anche a Venezia dal cui viaggio trasse una certa vicinanza allo stile veneto-lombardo di cui ci parla l'Abate LanziA Siena dipinse l'Annunciazione (1676) per la chiesa della Santissima Annunziata in Santa Maria della Scala e l'Estasi di San Filippo Neri (1680) per il Duomo. La sua bottega fu molto frequentata e fra i suoi allievi ricordiamo Francesco Zuccarelli, Francesco Conti, Odoardo Vicinelli e Pietro Nelli.
Morì a Roma il 18 febbraio 1717.

Roma Moderna: Francesco Furini

Ricerca a cura di Adele Pizzullo, Seniores Staff
 
FURINI, Francesco (1603-1646)
Nacque a Firenze il 10 aprile 1603 da Filippo di Nicola e da Francesca di Lazzaro Rossi.
Il cammino artistico di Francesco Furini comincia quando, appena sedicenne, dalla natia Toscana si trasferisce a Roma, dove subisce come molti altri pittori del suo tempo, il fascino della pittura del Caravaggio.Durante i tre anni (1619-22) di soggiorno a Roma in compagnia di Giovanni da San Giovanni, produce opere importanti che dalla luce del caravaggismo lo portano a ripiegare verso l’antichità classica, con citazioni dalla statuaria antica, l’idealizzazione del Rinascimento ed al messaggio di languida dolcezza di Guido Reni delineando uno stile personalissimo e del tutto inedito.
Dopo una sosta a Venezia nel 1629, il pittore torna a Firenze, dove riesce ad avere importanti committenti, tra i quali lo stesso Galileo Galilei, che lo tenne a stipendio ed in onore del quale, Francesco Furini nella pala d’altare dedicata all’Assunzione della Vergine, disegna una luna pallida e piena di orridi crateri, in omaggio alle scoperte astronomiche del celebre scienziato.Furini realizza (forse nel 1632) il suo capolavoro: "Ila e le Ninfe " ora alla Galleria Palatina, un notturno sulle acque di un lago con meravigliose schiene arcuate e "Morte di Rachele" dello stesso tenore espressivo.Nel 1633, improvvisamente, il pittore si ritira dalla corte per farsi prete andando a isolarsi in una pieve sperduta del Mugello.I soggetti sacri aumentano fino a costituire la grande parte della sua produzione; la sua produzione si indirizza alle pale d'altare ed alla creazione di quadri di soggetto religioso, ma di formato ridotto, da stanza.Dipinti di questo periodo sono Il "Sansone e Dalila", il "San Sebastiano" con il corpo risanato su un panno scarlatto (1642), l'elettrizzata "Cacciata di Adamo ed Eva", "Santa Lucia" della Galleria Spada, dove il solito motivo iconografico degli occhi, viene trasformato in una figura di spalle, smangiata dall'ombra, che sembra offrirci le pupille di cui è priva ed il bellissimo l'abbandono al pianto della "Maddalena" di Vienna.A partire dal 1636 Furini è impegnato nella decorazione del salone di Palazzo Pitti cominciato da Giovanni da San Giovanni.Nel 1645, Francesco Furini, chiamato a lavorare a Roma, abbandona l'isolamento della pieve di Sant'Ansano, nel Mugello e si trova a dover dipingere donne nude e non riuscire a trovare le modelle che posassero per lui.Nella città santa, che pullulava come nessun'altra di prostitute, Furini scrive in una delle undici lettere spedite da Roma: "Le belle non vogliono spogliarsi, le brutte non sono il caso..."
In un' altra lettera inviata il 6 gennaio 1646 al duca Jacopo Salviati, ritorna sull' argomento: "Gli confesso che non ho patito a' miei giorni, in tanti et in tanta varietà di casi occorsimi in vita mia, maggior mortificatione quanto dalla presente difficultà di trovare una donna che stia al naturale. Qui dove in tanta quantità ne sono, et use a vivere con tanta libertà che è una vergogna, per un mio honesto et honorato fine diventano tutte tante Lucrezie".
La fama del pittore è legata ai suoi raffinati quadri da cavalletto con intriganti nudi femminili che fredde luci azzurrine, teneramente modulate da delicati chiaroscuri, fanno emergere con sensuale eleganza dalle ombre degli sfondi.
Morì il 19 ag. 1646 nella casa di via delle Ruote a Firenze; fu sepolto in S. Lorenzo.

L’Allegoria celebrativa delle sorelle Maria e Francesca Salviati (Oxford, Ashmolean museum)Francesco Furini: La Gloria della Casa Salviati by Keutner, Herbert
(Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz. 1974, v. 18, Issue 3, p. 393-396, 4 p.)

Il testo di una ricevuta autografa di Francesco Furini permette una valida interpretazione del quadro dipinto nel 1628, indicato da Elena Toesca (1950) come 'Allegoria di Casa Medici'. Secondo il testo il dipinto raffigura due sorelle di Casa Salviati che presentano i loro figli, il futuro Granduca Cosimo e il futuro Papa Leone XI, alla 'Toscana' e a 'Roma'. In questa allegoria nella quale non si trova .  ritratto autentico, sia le singole persone sia il tema del quadro si possono identificare solo per mezzo di attributi e segni o per il rapporto delle persone fra di loro: la 'Toscana' e 'Roma' si distinguono la prima per lo scettro gigliato, la seconda per le chiavi di S. Pietro e la sigla S.P.Q.R., i giovani Cosimo e Alessandro che prendono in consegna scettro e chiavi sono individuati come futuro granduca e futuro papa dalla corona e dalla tiara nelle mani dei putti; le loro madri infine, Maria e Francesca, si rivelano donne di Casa Salviati dallo stemma della famiglia, a bande diagonali doppiomerlate, ricamate alla scollatura e sul polsino delle loro vesti. Poiché nel quadro non si trova alcun accenno alla famiglia dei padri dei due giovani, Giovanni delle Bande Nere e Ottaviano de' Medici, l'interpretazione consueta di 'Allegoria di Casa Medici' non può essere esatta. Più di qualsiasi altro componente della famiglia Salviati, le sorelle Maria e Francesca, come madri di figli ascesi alle più alte dignità dello Stato e della Chiesa, hanno dato un nome imperituro al casato. Pertanto 'le due sorelle' vi sono rappresentate come la personificazione della fama della famiglia, come 'La gloria della Casa Salviati'.

 

Roma Moderna Giovanni Battista Galestrucci

Ricerca a Cura di Adele Pizzullo, Seniore Staff

GALESTRUZZI (Galestrucci), Giovanni Battista
Fonte: Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)
Nacque con ogni probabilità a Firenze, come si deduce dalla qualifica di fiorentino talvolta apposta accanto alla sua firma, nel secondo decennio del XVII secolo (Huber - Rost, 1800; De Angelis, 1812). Accogliendo l'ipotesi di un suo alunnato a Firenze presso F. Furini (Huber - Rost, 1800), è plausibile supporre che in giovane età il G. avesse operato come pittore a Firenze per poi trasferirsi in data sconosciuta a Roma dove lavorò per tutto il resto della vita. Fu membro dell'Accademia di S. Luca e prese parte attivamente alla vita accademica, puntualmente registrato fra i partecipanti alle congregazioni generali e segrete dal 1654 al 1678; non è possibile tuttavia risalire al momento esatto della sua elezione, al punto che la stessa Accademia, constatata la difficoltà di rinvenire tale data, decise di stabilirla convenzionalmente il giorno 15 nov. 1654 (vol. 43, c. 188rv).
Della produzione pittorica del G. si hanno notizie assai scarse. Tra le poche opere conosciute è il dipinto con S. Michele Arcangelo, datato (1655) e firmato, eseguito dal G. per la cappella omonima nella chiesa dei Ss. Iacopo e Lucia a San Miniato (Roani-Villani, 1991). Un altro dipinto, raffigurante la Comunione della Vergine per mano di s. Giovanni, attribuito in un primo tempo a Nicolas Pinson e conservato presso la cappella dell'ospedale St-Jacques ad Aix-en-Provence, è stato restituito, in seguito al restauro, alla mano del G. (Gloton-Rinville, 1990).
Di un ovato raffigurante una S. Maria Maddalena a mezza figura realizzato dal G. per l'Accademia di S. Luca non si ha più traccia: il 28 febbr. 1666 fu infatti messo in vendita insieme con altre opere, per "comprarne del ritratto di essi le stanze per esercizio degli studij" (voll. 43, c. 177v; 44, c. 32v): si tratta probabilmente dello stesso quadro del G. presente all'interno dell'Accademia in data 8 giugno 1664 (voll. 43, c. 161; 44, c. 9
). Gli unici altri dipinti del G. di cui si ha notizia sono due tele di grande formato menzionate dal Titi (1763), che riferisce di averne preso visione in palazzo Salviati a Roma.
Del G. assai più conosciuta è l'attività di incisore. Al 1657 risale la prima serie di stampe incisa dal Galestruzzi. Si tratta di 267 acqueforti per il volume dell'antiquario senese Leonardo Agostini (Le gemme antiche figurate) destinato a descrivere un'ampia raccolta di cammei e gemme antiche conservate in alcune delle maggiori collezioni private romane. L'opera più nota del G. in veste di incisore rimane certamente la riproduzione ad acquaforte dei fregi affrescati da Polidoro da Caravaggio sulle facciate esterne di palazzo Milesi (Cesi - Lancellotti) in via della Maschera d'Oro a Roma, edita in questa città nel 1658 con il titolo Opere di Polidoro da Caravaggio.
Il 17 luglio 1678 il G. risulta per l'ultima volta fra i partecipanti a una congregazione dell'Accademia di S. Luca (voll. 45, c. 58; 46, c. 21). È possibile pertanto supporre che egli sia morto poco dopo questa data.


 

giovedì 22 maggio 2014

Passeggiata al Gianicolo: Sabato 24 maggio 2014 ore 9,30



SECONDO APPUNTAMENTO DI PRIMAVERA PER LA PASSEGGIATA AL GIANICOLO
APPUNTAMENTO PER TUTTI ALLE
 9,30 DI SABATO 24 MAGGIO 2014 
DAVANTI PALAZZO SALVIATI


 PERCORSO INVERSO DELLA PRIMA PASSEGGIATA
 TUTTO AVRa' TERMINE ALLE 12,30

INFORMAZIONI
senioresiasd@libero.it

lunedì 19 maggio 2014

Il Mondo MIlitare e la donna: Brigantesse italiane dell'800.

Sala Caponi Martedi 20 maggio 2014
II Conefrenza nell'ambito del progetto biblioteca

Nota relativa al Brigantaggio


Maria Giovanna Tito, Maria Lucia Dinella, Maria Rosa Marinelli, Filomena Cianciarulo, Reginalda Rosa Cariello, Filomena Di Pote, Marianna Oliverio, Giuseppina Vitale, Arcangela Cotugno, Elisabetta Blasucci, Serafina Ciminelli, Maria Capitanio, Carolina Casale, Giocondina Marino, Teresa Ciminelli, Angela Maria Consiglio, Michelina De Cesare, Maria Maddalena De Lellis detta Padovella, Marianna Petulli: questi i nomi delle più note (non tutte) donne-brigante passate alla storia, le cui biografie (ivi compresa quella di Filomena Pennacchio) sono raccontate nel libro di Maurizio Restivo, "Ritratti di brigantesse" (Lacaita editore, 1997). "Quella delle brigantesse è la storia, come è stato giustamente sottolineato, "al femminile", di un Sud segreto e selvaggio, una storia di rabbia ed amore". Era bellissima. La descrizione più precisa ce l’ha tramandata tal sergente Sista, che la ebbe sott’occhio durante il processo: snella, carnagione olivastra, occhi scintillanti, capelli corvini e ricci, ciglia folte, labbra turgide, profilo greco. Bellissima, corteggiatissima, poverissima. Quella che doveva diventare la Brigantessa dell’Irpinia, una specie di amazzone rusticana temuta quanto amata, al secolo Filomena Pennacchio, nasce il 6 novembre 1841 a Sossio Baronia, distretto di Ariano Irpino, da Giuseppe di professione macellaio e da Vincenza Bucci, entrambi analfabeti. Una famiglia in miseria fonda e Filomena già da piccola comincia a sgobbare, fa la servetta e la ragazza di fatica nella casa di ricchi proprietari terrieri della zona. E’ splendida e in tanti le ronzano intorno, ma l’incontro fatale avviene un giorno di primavera, anno 1861, nella campagna di contrada Civita, dove lei sta lavorando: è quello con Giuseppe Schiavone, il ragazzo di 23 anni che è già un brigante conosciuto in tutta la zona e che si è dato alla macchia per evitare la leva militare. E’ amor fou, il colpo di fulmine: appena pochi mesi, e lei è già fuggita col bandito, dopo aver venduto, per 39 ducati, tutto ciò che possiede, beni e casa compresi, iniziando subito una nuova vita di brigantessa al fianco del suo uomo.
Armi in pugno
A cavallo, vestita da uomo, col fucile a tracolla, Filomena non è solo la donna del bandito - la sua druda, come la chiamano i resoconti della polizia - ma è una guerrigliera in prima persona: partecipa alle razzie, tende imboscate, fa a schioppettate con le guardie piemontesi. Non è solo la donna del capo: bella, coraggiosa, ardita, coraggiosa gli uomini della banda la ammirano e "hanno per lei cura e rispetto inimmaginabili per dei briganti". Ha ventun anni appena compiuti quando mette a segno il suo primo colpo: una spedizione punitiva in un podere di Migliano presso Trevico contro Lucia Cataldo, rea di non aver consegnato a Schiavone il denaro e gli oggetti d’oro che il bandito le aveva ingiunto di devolvere con tanto di biglietto scritto e firmato. Alla testa degli uomini Filomena irrompe, si impossessa di un bue della inadempiente, lo sgozza davanti ai suoi occhi e se ne fugge via, punizione eseguita. Da allora sono tanti i reati legati al suo nome; gli atti processuali ne forniscono un lungo elenco, sequestri, incendi, razzie, aggressioni. Come dice il tribunale di guerra di Avellino che nel 1870 la processerà e condannerà, lei è appunto la Filomena Pennacchio che "associandosi nell’agosto 1862 alla banda comandata dal famigerato capobrigante Giuseppe Schiavone ora fucilato, del quale divenne pure la druda, e col quale pure avrebbe scorso le pubbliche vie e le campagne commettendo crimini e delitti". Mesi cruenti, lei non si tira mai indietro, masserie, case padronali, possidenti patiscono le sue irruzioni, qualche ricco è preso, legato e sequestrato dentro grotte e nascondigli fra i boschi, a scopo di riscatto, pena la vita. Ha imparato a manovrare il fucile, Filomena, e, insieme agli uomini, non si sottrae nemmeno allo scontro coi soldati dell’odiato esercito piemontese. Accade il 4 luglio 1863, in località Sferracavallo, sulla consolare che da Napoli conduce a Campobasso, quando la 1a Compagnia del 45mo fanteria si imbatte nella grossa banda che per l’occasione vede riuniti i briganti di Schiavone, Michele Caruso e Teodoro Ricciardelli, oltre 60 uomini: sul terreno restano dieci soldati, un eccidio. Filomena la Spietata, ma anche la Soccorritrice: narrano che non raramente sfida la sorte per dare conforto, medicare feriti, concedere possibilità di scampo a qualche malcapitato, briganta a suo modo generosa. Affascinante, appassionata, spavalda; corre voce che per lei hanno perso la testa anche altri banditi importanti, per esempio Caruso, Crocco, Ninco Nanco, Donato Tortora; corre voce che lei non è restia a concedere a più d’uno i suoi favori, non è sicuro. E’ sicuro invece che il terribile Schiavone, il capobrigante cui i soldati danno la caccia in tutta la regione e che per lei ha abbandonato l’amante Rosa Giuliani, è perdutamente innamorato della ragazza di Sossio Baronia. Amore e morte, il dramma sta per consumarsi tra i guerriglieri dei boschi. Rosa Giuliani non perdona affatto il tradimento; divorata dalla gelosia per vendetta passa alla delazione: è lei a denunciare al delegato di Candela che "Schiavone, col capobanda Petrelli di Deliceto, e coi briganti Marcello, Rendina e Capuano, si sarebbero nascosti nella masseria Vassallo la notte tra il 25 e il 26 novembre 1864". E’ la fine. I soldati a colpo sicuro piombano sui banditi e li sorprendono tutti e cinque, arrestati vengono tradotti incatenati a Melfi e qui sono fucilati, in località Morticelli, la mattina del 28 novembre.
L’ultimo bacio

Filomena non era con loro la notte dell’agguato: prossima a partorire è infatti nascosta a Melfi, in una casa sicura, quella della levatrice, Angela Battista Prato. Prima di essere passato per le armi, Schiavone (che ha appena 36 anni) chiede e ottiene di poterla vedere per l’ultima volta. "Alla vista della Pennacchio si inginocchiò, le baciò i capelli, le mani, i piedi e chiedendole perdono la strinse fra le sue braccia e le scoccò l’ultimo bacio d’amore". Anche per Filomena è però venuto il momento della resa dei conti e dell’espiazione. Tratta in arresto - ad opera del maggiore Rossi del 29mo Battaglione bersaglieri, dicono le cronache - la temibile brigantessa, rimasta sola, disperata per la morte del suo uomo, imbocca la via del pentitismo, collabora, come si dice; e sono le sue informazioni, dicono le cronache, a permettere la cattura di caporal Agostino (Agostino Sacchietiello) e della sua banda, ivi comprese due brigantesse già sue amiche e socie,Giuseppina Vitale e Maria Giovanna Tito, la donna del "generale" Crocco. Condotta davanti al tribunale di guerra, con sentenza del 30 giugno 1865 Filomena è condannata a venti anni di lavori forzati. Poi ridotti a nove e poi a sette, con regio decreto in data 6 marzo 1870. Da allora, della Brigantessa irpina non si è mai più saputo nulla.

sabato 17 maggio 2014

Collegio MIlitare di Roma - 50° Anniversario della Costituzione


VOLUME DEDICATO AL 50° ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DEL COLLEGIO MILITARE DI ROMA 1883 - 1933
RIPORTA INTERESSANTI FOTO E DOCUMENTAZIONE DELLA COSTRUZIONE DELLA QUARTA ALA DI PALAZZO SALVIATI E FOTO DELLA CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELLA LAPIDE COMMEMORATIVA ALLA PRESENTA DEL RE VITTORIO EMANUELE III


martedì 13 maggio 2014

Open Hause Roma: due belle giornate a Palazzo Salviati


                              

La "Seniores" ha avuto un ruolo nelle due giornate in cui Palazzo Salviati è stato aperto al pubblico durante  la manifestane Open Hause Roma
 Auro di Falco, della 57sessione Iasd, coadiuvato  da componenti della Segretaria Generale della Associazione, ha svolto il ruolo di Guida per i numerossimi visitatori che si sono succeduti nelle due giornate
 Ad Auro, per i complimenti e apprezzamenti ricevuti, come testimonia il libro delle firme, i complimenti di tutti noi per la sua splendida performonce. 






domenica 4 maggio 2014

Associazione Nazionale Allievi Ex Scuola MIlitare Nunziatella



Sono state avviate proficue intese con l'Associazione Nazionale Ex Allievi della Nunziatella che ha la sua sede a Palazzo Salviati. Intese che hanno permesso di prendere visione di interessanti materiali sulla storia del Collegio Militare che ha avuto sede a Palazza Salviati dal 1883 al 1943.