Atto Costitutivo e Statuto della Associazione
domenica 31 luglio 2022
mercoledì 20 luglio 2022
Sergio Benedetto Sabetta. Nota
La metabolizzazione
della violenza nella cultura occidentale
Ten cpl. Art. Pe. Sergio
Benedetto Sabetta
Vi è nella
cultura europea una forte matrice di
violenza che sembra riecheggiare quanto attualmente viviamo sia nell’attuale
conflitto nell’Est Europa che nel mondo mussulmano, vi è nella realtà un
rispecchiarsi di due mondi e culture nel quale quello che appare estraneo non è
in effetti che il riflesso e la metabolizzazione della nostra storia culturale.
Nella Francia della metà del
Cinquecento vi è un ribollire di violenza tra predicatori cattolici e
predicatori riformati, la violenza della folla che appare informe come un’idra
dalle mille teste risulta ad una più attenta analisi indirizzata verso bersagli
precisi e fondata su tradizioni che la legittimano (Rude, Tilly, Le Roy Ladurie).
Si è teso a
delimitare la violenza a motivi economico-finanziari, dalle carestie al
fiscalismo, dimenticando gli aspetti religiosi delle lotte tra cattolici e
riformati, venendo ad assimilare queste ad una rivolta dei ceti popolari verso
le classi superiori, i motivi sociali non possono tuttavia assorbire
interamente le problematiche nate per esempio dalle violenze nei mestieri
artigiani.
Resta la necessità riconosciuta
collettivamente di una difesa della vera dottrina e della confutazione di
quella falsa, vi è inoltre un’ulteriore motivo dato dalla necessità della
purificazione quale termine alla degradazione portata dagli infedeli la quale
risulta conduttrice della collera divina.
A questi
elementi se ne aggiunge uno propriamente politico, la sostituzione della folla all’inazione
dei magistrati dando corso alla volontà legislativa inattuata (Thompson), sebbene difficilmente le
autorità potessero legittimare una tale condotta, come del resto gli stessi
predicatori indirettamente riconoscevano, insistendo sempre nella richiesta di
azioni da parte delle autorità, tanto che neppure nella teoria della resistenza
protestante si richiama il diritto dei singoli alla disobbedienza violenta, le
folle nella Francia del Cinquecento indistintamente tendono a impersonare tanto
i ruoli del clero che dei magistrati.
La presenza
nella folla di pubblici ufficiali o membri del clero ne legittimano di per sé
l’azione, ma anche in loro assenza l’ambiguità di alcuni predicatori, che nel
vuoto del potere giudiziario o politico che si creano talvolta nelle comunità
tendono a legittimare ex-post l’azione violenta, distinguendo tra motivi
sociali ed economici, come rivolte contadine o proteste di giornalieri, sempre
rinnegate e violenze iconoclaste considerate quale espressioni di una possibile
volontà divina, dove erano le “occasioni”
a scatenare la violenza distinguendo tra città e campagne.
In queste ultime i conflitti
socio-economici risultavano più evidenti, ma anche il chiaro riferimento ai
repertori della Bibbia e della liturgia della giustizia popolare tendeva a
legittimarne l’azione, acqua e fuoco ne costituivano la base, come il processo
di disumanizzazione dove i nemici diventavano gli “appestati” o i “diavoli”.
In queste
violenze collettive un primo piano lo ebbero gruppi di “enfants” comprendenti maschi adolescenti ma anche bambini di dieci
o dodici anni, di giovani si parla in quasi tutti i disordini dell’epoca dai
Paesi Bassi alla Francia e la violenza è tanta da indurre perfino esponenti di
famiglie famose a muoversi con prudenza, come nel caso degli adolescenti di Sens e
Provins dove giovani cattolici
lapidarono e bruciarono dei protestanti.
La massa comunque non si muoveva mai casualmente bensì su organizzazioni preesistenti che
potevano essere le confraternite o le società giovanili per i cattolici, le
unità della milizia o le corporazioni per cattolici e protestanti, che
seguivano rituali ed occasioni precise non collegate direttamente alla violenza
della sommossa, la quale era tanto più violenta in quanto collegata a precisi
valori fondamentali della comunità che ne venivano a definirne l’identità.
La
connessione tra conflitti religiosi e sociali con il conseguente accrescersi
della violenza emerge ancora più chiaramente nell’Inghilterra del XVII secolo,
durante il periodo che precedette la guerra civile del Lungo Parlamento, un
rapido accrescersi della popolazione urbana creò forti preoccupazioni quando
andò ad inserirsi nelle lotte politico-religiose e nell’elezione del Parlamento,
tanto da fare affermare ad Hooker che
“i grandi movimenti dello spirito”
possono diventare molto pericolosi se incontrano uomini pronti al tumulto e
alla rissa, ancor più se come nel periodo 1620-1650 della storia Inglese vi fu
un forte malessere economico attribuito alla cattiva amministrazione,
all’istituzione dei monopoli e ad altri espedienti fiscali per fare cassa.
L’insubordinazione
sociale era anche frutto di una profonda tradizione popolare anticlericale e di
irreligiosità che affondava le sue radici nell’eresia di John Wiclif e dei Lollardi, una
sorta di scetticismo materialistico popolare (Dickens), ma altre forme di ribellione religiosa si manifestarono
attraverso i Mariani, gli Anabattisti e i Puritani, una iconoclastia popolare
contro l’intera istituzione ecclesiastica.
Osservava a
riguardo John Selden “Se un uomo afferma
di aver preso le armi per qualsiasi ragione che non sia la religione, è
possibile fargliele deporre usando la ragione, ma se è per la religione,
qualunque cosa tu dica , non ti crederà”, molti predicatori indicavano nel
popolo “La voce del Regno di Cristo”
indicando al pubblico disprezzo il clero e anche talvolta identificando nei
ricchi e potenti l’Anticristo.
La chiamata alle armi del popolo da
parte del Parlamento, anche se incerta e dubbiosa, timorosa di effetti
imprevisti, legittimava ulteriormente il ricorso alla violenza degli artigiani,
dei contadini e di tutti gli strati più umili del popolo, lo sfaldarsi della
censura e del controllo reale favorirono ulteriormente i richiami alla rivolta
dei predicatori, che nella guerra dei trenta anni in corso sul continente
vedevano l’indizio di un approssimarsi della morte del vecchio ordine e
l’inizio di un giudizio universale, in cui i poveri e la gente comune avrebbero
collaborato nell’avvento del Regno di Cristo, secondo una visione
millenaristica.
Predicatori
quali Thomas Scott tra il 1620 e il
1630, Stephen Marshall tra il 1640 e
il 1650, indicavano nella “vos populi”
la necessità di una ribellione contro nobili, magistrati, cavalieri e gentry in
generale in quanto ribelli e traditori contro Dio, fino ad affermare attraverso
Christopher Feake essere la monarchia
e l’aristocrazia “nemici di Cristo”, sorsero innumerevoli sette e la mancanza
di un controllo ecclesiastico sul pensiero si rese evidente, con il tentativo
di sostituire i tribunali ecclesiastici mediante un sistema disciplinare
presbiteriano, con inevitabili forti reazioni di ostilità.
Le
trasformazioni economiche tra il XVII e il XVIII secolo, l’esplodere della
popolazione, accrebbero la mobilità sociale con il conseguente crescere
dell’inurbamento e del vagabondaggio, la città diventava un rifugio economico
come le foreste nei secoli precedenti, una massa di manovra disponibile
fondamentalmente apolitica e areligiosa, pronta a schierarsi con chiunque le
fornisse dei favori.
Accanto ad essa vi erano i membri
delle sette protestanti anch’essi liberi ma diversi, organizzati in un mutuo
soccorso senza dovere dipendere da parroci e signorotti, concentrati nelle
città si sentivano gli eletti del Signore, in un mondo di senza Dio e
Anticristo fondavano la propria esistenza unicamente sulle leggi tratte dalla
Bibbia.
Fuori dai centri urbani cottages e abusivi vivevano nelle
foreste, nei terreni incolti e sulle terre comuni, verso di essi vi è una certa
simpatia quali ribelli alle leggi delle classi superiori, come osservato nelle
ballate popolari del tempo (Firth),
ma erano gli artigiani e i commercianti girovaghi di fiera in fiera che
favorivano la diffusione delle idee più radicali (Everitt).
Tutti questi
elementi che vivevano lontano dal controllo ecclesiale o regio e feudale erano
estremamente ricettivi alle idee religiose più radicali o ad un primitivismo
naturalista (Thirsk), le terre in cui
vissero furono anche quelle dove vi furono le maggiori rivolte contadine nei
primi anni del XVII secolo (Everitt),
il Weald, le foreste del Northamptonshire, il distretto del Wiltshire, Ely,
l’isola di Axholme, le brughiere del Cumberland furono tutte aree di
ribellione.
Walzer osserva
che proprio il venire meno di un controllo esterno e la libertà che esso
comporta fa sorgere la necessità di un forte controllo, che dia forma all’uomo
nuovo e ad una disciplina collettiva base di una nuova società, a questa
esigenza rispondono i Quaccheri e i Puritani, ma anche nelle epoche successive
di grandi tumulti e scollamenti sociali i giacobini e i bolscevichi.
Abitanti
della foresta, artigiani e operai itineranti, girovaghi, ambulanti, vagabondi,
disoccupati non costituivano solo la massa delle rivolte e delle idee radicali,
ma anche il serbatoio a cui attingere non solo per nuove industrie, bensì anche
per gli eserciti, gli equipaggi delle navi e le colonizzazioni per le Terre del
Nuovo Mondo, dove acquisire un pezzo di terra era la promozione sociale.
Al contempo vi era la necessità da
parte delle autorità di controllare e chiudere le taverne senza licenza, in cui
facilmente gli artigiani erranti potevano trasformarsi in predicatori e se
trovavano l’ambiente favorevole auto-proclamarsi nuovi Messia, creando rivolte,
tumulti ma anche facendosi mantenere dai loro discepoli come nel caso di Mary Gagbury e William Franklin, ne è a
riguardo dimostrazione il Vagrancy Act del
1656 diretto contro “tutti i girovaghi”.
Come nella
società stuartiana vi è sotto lo strato superficiale di ordine una matrice di
violenza, che affonda le sue radici nell’idea messianica di una giustizia e
felicità ultima su questa terra, ma anche una risposta tanto al collettivismo
spinto di una promessa di welfare assoluto quanto all’individualismo più
eccessivo, così la violenza che attualmente ci pare estranea non risulta che
essere lo specchio di una parte dell’essere della nostra cultura su cui è nata
la società industriale e post-industriale, un riflesso dell’occidente sul medio
oriente, una sua trasposizione.
Davanti alle attuali incertezze e spaesamenti al ripiegarsi degli adulti vi è un esplodere di rabbia dei giovani, “L’età delle rivolte è un’epoca di ribellismo spontaneo, che ha preso il posto delle precedenti forme di protesta, organizzate e inquadrate da sindacati , partiti e quant’altro” (M. Giro, Presbitocrazia : i giovani senza potere, 189, in Lines, 2/2017), dalla Francia nel 2005, alla Grecia nel 2008, all’Inghilterra e ai Paesi Arabi nel 2011, agli U.S.A. nel 2014 ,2015 e 2021 per non dire delle più famose, senza trascurare India, Spagna, Pakistan, Sud-America, Africa e attualmente il Sri Lanka la ribellione continua ad essere parte attiva del paesaggio politico e culturale attuale come nei secoli passati.
domenica 10 luglio 2022
Il fronte Italiano. 1943
3.Il dibattito strategico-operativo: che fare in Italia?
Il Comando Alleato del Mediterraneo, in vista delle operazioni future, aveva presentato tre piani:
il primo, che prevedeva l’attacco ai porti della Biscaglia, per vincere definitivamente la battaglia dell’Atlantico;
il secondo, cioè “Anvil”, lo sbarco nel sud della Francia;
il terzo, varie offensive limitate nell’ambito delle operazioni in Italia.
Queste proposte trovavano gli Statunitensi orientativamente favorevoli: infatti finalmente anche in Italia si era giunti ad un equilibrio di intenti. Ma si sbagliavano.
Il Maresciallo Alexander, in piena sintonia con il suo primo Ministro, Winston Churchill, aveva elaborato tutta una serie di piani che escludevano in pratica qualsiasi azione fuori d’Italia. I suoi piani avevano come obiettivo quello di “annientare” tutte le forze tedesche in Italia e di costringere il nemico ad attingere alle sue scarse riserve. Alexander era convinto che le armate di Kesserling erano ormai al limite della capacità operativa dopo gli scacchi subiti che non sarebbero stati capaci di opporre resistenza sulla linea Gotica.
Secondo i suoi calcoli, sarebbero state necessarie altre 8-10 divisioni integre, che i Tedeschi non avevano e non erano in grado di spostarle dal fronte orientale. Lui aveva alle dipendenze truppe esperte ed entusiastiche che, se non le sarebbero state sottratte, gli avrebbero permesso di raggiungere Firenze a metà luglio, investire
Le prospettive in Italia in quel torno di tempo, inizio dell’estate 1944, erano ben chiare: o accettare questo piano e vedere quanto prima la guerra arrivare alle Alpi ed oltre, oppure se si volevano adottare altri piani, che prevedevano la sottrazione di forze al fronte italiano, fermarsi sulla linea Pisa-Rimini ed attendere gli avvenimenti.
Mentre le discussioni erano in corso, già i preparativi per lo sbarco in Provenza, la detta operazione “Anvil” erano in essere. Il VI Corpo d’Armata statunitense avrebbe dovuto essere ritirato entro l’11 giugno 1944 dal fronte, mentre le divisioni 3a, 36a “Texas”, 45a statunitensi, dovevano anche loro essere ritirate entro la fine di giugno, mentre le due divisioni francesi, dovevano essere ritirate rispettivamente entro il 24 giugno e il 1 luglio. Questa sottrazione di forze non avrebbe impedito ad Alexander di investire
Scrive al riguardo W.G.F. Jackson, nel suo bel lavoro sulla Campagna d’Italia:[4]
“Le posizioni assunte dalle due parti rimasero distanti come sempre. Gli Americani non erano preparati all’idea di rinunciare ad un attacco anfibio, ed i Britannici non erano preparati all’idea di legarsi in quel momento ad un qualsiasi piano prestabilito. La discussione ridusse a tre le possibili alternative: un assalto ai porti del Golfo di Biscaglia, un assalto nella Francia meridionale, un assalto all’estremità settentrionale dell’Adriatico per aiutare l’avanzata di Alexander oltre il Po. Poiché ciascuna di esse implicava un importante sbarco anfibio, fu convenuto di rimandare la scelta finché non si fossero avute chiare indicazioni sugli sviluppi di “Overlord”e dell’offensiva russa estiva. Nel frattempo il ritiro delle divisioni di Wilson per l’operazione “Anvil” sarebbe stato sanzionato, ma Wilson avrebbe dovuto accertarsi che Alexander restasse con forze sufficienti a consentirgli di serrare rapidamente sulla linea Pisa-Rimini. Alexander e Harding (suo Capo di Stato Maggiore) non erano disposti a rinunciare al loro piano senza lottare, riponendo in esso grande fiducia. L’inseguimento di Kesserling stava procedendo bene, e nuovi calcoli dimostravano che sarebbe stato possibile essere al di là del Po per la metà di luglio ed attaccare il valico di Lubiana per la metà di agosto.”[5]
Le osservazioni di Alexander trovavano sostenitori nei comandanti delle forze aeree e delle forze navali, sia statunitensi che britannici, che non vedevano di buon occhio e non volevano che i loro reparti fossero divisi tra l’Italia e la Francia; lo stesso Wilson si convinse della bontà delle proposte; il suo vice, gen. Devers, invece era di parere contrario e sosteneva che lo sbarco in Provenza era la cosa più utile per Eisenhower. Lo stesso Marschall, in visita in Italia, dopo aver ispezionato il nord della Francia, non era entusiasta delle proposte di Alexander: Eisenhower aveva bisogno di porti, molti porti, in Europa per riceve le 40-50 divisioni che erano pronte negli Stati Uniti. Marschall, dunque, era scettico: secondo lui i Tedeschi si sarebbero ritirati su una linea intermedia tra il Po e Lubiana e l’avrebbero difesa. L’OKW non avrebbe concesso mai 8-10 divisioni al fronte italiano e vi erano molte probabilità che l’offensiva di Alexander cadesse nel vuoto.
Nel dibattito intervenne con tutto il suo prestigio Eisenhower che chiese espressamente uno sbarco in Provenza, a sostegno della sua azione in Francia. Questo intervento elevò il dibattito dal livello strategico operativo a quello strategico e politico. Churchill appoggiò, naturalmente, le posizioni di Alexander, e quindi fu la volta di Roosewelt, che fece conoscere il suo pensiero il 29 giugno
La ferma posizione del Presidente degli Stati Uniti amareggiò non poco i Britannici; gli Statunitensi non persero tempo e già davano pratica attuazione a queste decisioni strategiche ritirando dal fronte italiano anche unità di prima linea.