Atto Costitutivo e Statuto della Associazione

L'Atto Costitutivo, lo Statuto della Associazione, la Scheda di Adesione sono pubblicati sotto la data del 2 febbraio 2013 di questo Blog

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martedì 18 novembre 2014

DAL PONTE, Iacopo, detto Bassano (1510-1592).
ricerca a cura di Adele Pizzullo
Figlio del pittore Francesco il Vecchio e, verosimilmente, della sua prima moglie Lucia Pizzardini, nacque a Bassano del Grappa nel 1510. La sua formazione si svolge prima presso il padre, un modesto artista, capostipite dei Bassano, originario di Gallio, e successivamente a Venezia nella bottega di Bonifacio de' Pitati. Del 1535 sono le tre tele a soggetto biblico, realizzate per il Palazzo pubblico di Bassano, dove all'influenza del maestro si unisce un'attenta resa del dato naturalistico, risentendo degli influssi di Tiziano e Lorenzo Lotto. Tra il 1535 e il 1540 si avvicina alla plasticità del Pordenone, di questo periodo sono Sansone e i filistei, oggi a Dresda, e l'Adorazione dei Magi, oggi alla Burghley House.
Dagli anni quaranta si avvicina alla pittura manieristica, soprattutto a quella di Francesco Salviati, tra il 1540 e il 1550 esegue: Martirio di santa Caterina oggi nel Museo Civico di Bassano, la Decollazione del Battista di Copenaghen, con figure affilate e affusolate inserite in una scena rarefatta, l'Andata al Calvario, dove il paesaggio è ripreso dalle incisioni tedesche, la Natività di Hampton Court e il Riposo durante la fuga in Egitto di Milano.
Nel 1546 sposò Elisabetta Merzari (+ 5 settembre 1601) dalla quale ebbe otto figli: Francesco Alessandro (3 gennaio 1547 - marzo 1547), Francesco Giambattista (7 gennaio 1549 - 2 luglio 1592), Giustina (27 dicembre 1551 - 22 luglio 1558), Giovanni Battista (4 marzo 1553 - 1613), Benedetta Marina (21 marzo 1555), Leandro (10 giugno 1557- 15 aprile 1622), Silvia Giustina (17 aprile 1560) e Girolamo (3 giugno 1566 - 8 novembre 1621). Francesco, Giambattista, Leandro e Girolamo seguiranno le orme paterne e diventeranno pittori. Anche il nipote Jacopo Apollonio divenne pittore alla scuola del nonno. Tra il 1550 e il 1560 realizzò: l'Ultima Cena della Galleria Borghese di Roma dove riprese lo stile luministico del Tintoretto.
Morì a Bassano il 13 febbraio 1592 e fu sepolto in San Francesco, dove sarebbe stato raggiunto poco dopo dal figlio Francesco.
Nel testo "Palazzo Salviati alla Lungara" è menzionato un solo quadro del maestro: una Testa di San Giovanni Battista con angelo che si trovava nella seconda anticamera accanto alla Cappella.
CASINI, Giovanni Maria
ricerca a cura di Adele Pizzullo
Giovanni Maria risulta immatricolato nell'Accademia delle arti del disegno di Firenze nel settembre 1576; ne fu provveditore negli anni 1580, 1581, 1582, e console nel 1582, 1588, 1594 e 1604. Secondo il Fineschi aveva studiato a Roffia, a spese della famiglia de' Comi. Eseguì molti quadri, perduti, per committenti privati, tra cui, secondo il Colnaghi, il ritratto di un tale Giovanni, fornaio di via S. Gallo a Firenze. Nel 1594 dipinse una Deposizione (perduta) per l'altar maggiore della chiesa di S. Salvatore a Pistoia. Il Fioravanti riferisce che la composizione derivava da un'opera di Andrea del Sarto (ma non si sa da quale delle quattro Pietà conosciute, tre delle quali sono conservate rispettivamente nella Galleria Palatina di Firenze, nella Galleria Borghese di Roma e nel Kunsthistorisches Muscum di Vienna, mentre la quarta ci è nota attraverso una incisione di Agostino Veneziano). Il quadro di Pistoia fu pagato complessivamente, comprese tela e doratura, 62 scudi.
È di Giovanni Maria l'Ambasceria di S. Antonino a papa Pio II, lunetta affrescata nel chiostro grande del convento di S. Maria Novella a Firenze; ed è l'unica sua opera pittorica sicura che sia giunta fino a noi.
Giovanni Maria fu pure commediografo e poeta. Di lui è rimasta una commedia, La Padovana, in un prologo, cinque atti e sei intermezzi; la Biblioteca Vaticana ne conserva il manoscritto (Barb. lat. 3752), codice cartaceo di go facce, con lettera dedicatoria, datata 21 genn. 1583, a Federico Zuccari, chiamato "patron mio oss.mo". Essa fu recitata in casa di Sigismondo de' Rossi conte di Sansecondo il 6 febbraio dello stesso anno. È un testo piacevole nell'intreccio, che si rifà ai temi consueti dei travestimenti e relativi riconoscimenti finali, ripresi dal teatro antico, inserendovi però gustosi "caratteri" che si esprimono in un vernacolo colorito; il frequente riferimento a località del contado toscano contribuisce a conferire vivezza all'insieme, il quale, poi, si rivela chiaramente opera di un pittore, non fosse altro per il prologo, che è tutta un'esaltazione della pittura: l'arte per eccellenza, che include in sé tutte le altre.
Morì il 25 novembre 1617, l'anno in cui la Padovana veniva data alle stampe a Firenze, presso Cosimo Giunti con presentazione dei figli Valore e Domenico.
Nel testo "Palazzo Salviati alla Lungara" sono menzionati tre quadri del pittore: due Puttini in piedi collocati nella prima anticamera verso strada e un Ritratto di Monsignor Lorenzo Salviati che si trovava nella stanza del Camino.
NALDINI,  Giovambattista (Giovanbattista, Giovanni Battista), detto Battista degli Innocenti. 
ricerca a cura di Adele Pizzullo
Figlio di Matteo, calzolaio, nacque a Firenze il 3 maggio 1535. Affidato in tenerissima età all’ospedale degli Innocenti,da cui il soprannome, Naldini, con l'aiuto di don Vincenzio Borghini che, negli anni a venire, si sarebbe rivelato uno dei suoi protettori più munifici, entrò nella bottega di Jacopo Carucci detto il Pontormo a dodici anni (e dunque intorno al 1547). Qui, rincontrato il padre naturale, nel frattempo preso a servizio dal Pontormo (Baldinucci, 1681-1728, p. 511), rimase sino alla morte del maestro (1557).
Soggiornò a Roma dopo il 1560 e nel 1562 entrò nell'atelier di Giorgio Vasari, contribuendo alla decorazione di Palazzo Vecchio a Firenze, in particolare allo Studiolo di Francesco I, per il quale dipinse due tele. Secondo una prassi ricorrente nel percorso formativo degli artisti fiorentini, nell’Urbe si cimentò con assiduità nella pratica della copia, affiancando alle esercitazioni sulla statuaria antica lo studio dei grandi cicli figurativi cinquecenteschi, da quelli ultimati da Raffaello e dai suoi allievi, Polidoro da Caravaggio in testa.durante il suo soggiorno romano il pittore eseguì gli apparati allestiti in occasione del matrimonio romano tra Alberico I Cybo, principe di Massa, e Isabella di Capua che possono essere oggi parzialmente ricostruit
i
grazie a un taccuino di schizzi (Thiem, 2002) smembrato tra diverse località tra cui Cambridge (Fogg Art Museum), Firenze (Biblioteca nazionale centrale, ms. N.A. 1159; Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi), Oxford (Christ Church Picture Gallery), Londra (British Museum; Victoria and Albert Museum) e Parigi (Louvre, Département des arts graphiques).
Tornato a Firenze partecipò a quel rinnovamento della decorazione delle grandi basiliche dopo la Controriforma, decorando alcuni altari in Santa Croce e in Santa Maria Novella. Nella Cappella Salviati di San Marco creò la pala con la Vocazione di san Matteo.
Tra il 1577 e il 1580 durante un viaggio a Roma, l’artista eseguì incarichi per l’oratorio di S. Giovanni Decollato (Martirio di s. Giovanni Evangelista, S. Giacomo e S. Matteo), per la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini (Predica del Battista) e per la cappella Altoviti in Trinità dei Monti dove, con l’ausilio dell’allievo Giovanni Balducci, realizzò un ciclo con le Storie del Battista.
Ritornato a Firenze entro il 1580 l’artista poté fronteggiare in rapida successione una serie incalzante di commissioni  sacre, sia a Firenze – Deposizione in S. Croce (1583), Presentazione al tempio in S. Niccolò Oltrarno (1585), Vocazione di Matteo in S. Marco (1588) – sia in centri minori della Toscana medicea – Madonna e santi a Colle Barucci (1583), Resurrezione di Lazzaro a Montughi (1583), due dipinti in S. Martino a Maiano (1585) e, a Volterra, l’Immacolata Concezione nella chiesa di S. Francesco (1585) e la Presentazione di Maria al tempio nel duomo (firmata e datata 1590).
Debilitato dalla gotta
negli anni estremi della sua vita dovette limitar
e sensibilmente l’intervento nelle opere che gli venivano richieste, nel 1589 si vide costretto ad affidare agli aiuti (tra cui Balducci e Curradi) l’esecuzione di alcune storie nell’ambito degli apparati effimeri allestiti per le nozze di Ferdinando I.
Morì il 18 febbraio 1591 a Firenze, dove venne sepolto nella chiesa di S. Michele Visdomini.
Nel testo "Palazzo Salviati alla Lungara" risulta una sovrapporta con figura di S. Matteo della seconda anticamera accanto alla Cappella e due Virtù nella camera del cantone verso strada accanto al Gabinetto.

venerdì 7 novembre 2014

Presentazione libro

Gentili amici e amiche,vi invitiamo alla presentazione del libro “Il canto della fede” di Carlo Ambrosio Setti che si terra' il 14 novembre p.v., alle ore 18.00, presso l’Università LUMSA (sala Giubileo), via di Porta Castello, 44 - Roma.
Preghiamo coloro che fossero interessati alla partecipazione a darne comunicazione alla segreteria della Seniores. Un cordiale saluto a tutti
Massimo Coltrinari e Luigi Marsibilio
BILIVERT (Biliverti, Bilivelti, Bylevelt), Giovanni (1576 - 1644)
 ricerca a cura di Adele Pizzullo
 Giovanni Bilivert nacque nel 1576 a Firenze e non nelle Fiandre, come talvolta ancora si asserisce. Suo padre, Giacomo Bylevelt, nativo di Maastricht, venne ancora giovane a stabilirsi a Firenze e fu assunto come orefice alla corte granducale. Morto il padre nel 1589, entrò nello studio di Ludovico Ciardi, detto il Cigoli. Nel 1604 accompagnò il Cigoli a Roma, dove questi aveva ottenuto da Clemente VIII l'incarico di dipingere due quadri d'altare per le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo, collocati nel 1606, ma sostituiti poi da altre tele. Probabilmente ha collaborato a questi dipinti, ora scomparsi, ma è certo che egli già nel 1606-07, senza l'intervento del suo maestro,  eseguì per la chiesetta dei benedettini di piazza di S. Maria in Trastevere una pala d'altare con il Martirio di S. Callisto, tutt'ora sul posto. Si tratta di una composizione certo audace, ma sgradevole, che rivela l'influsso mal assimilato del Caravaggio, anche nel colorito indeciso e pesante. I pochi anni che trascorse a Roma lo resero grave e solenne nelle rappresentazioni sacre, e garbatamente animato ogni volta che trattò un soggetto profano. Il Cigoli fece ritorno a Firenze nel 1608 e il Bilivert lo seguì, ma quando il maestro si recò nuovamente a Roma, il discepolo, artista ormai affermato, rimase a Firenze come suo sostituto. Nel 1609 Cosimo II lo nominò disegnatore nell'officina granducale delle pietre dure con una paga mensile di 15 scudi. Fu appunto nel 1609 che la granduchessa vedova, Cristina di Lorena, ordinò all'officina un prezioso altare, destinato alla chiesa di S. Nicola a Pisa, vicina al palazzo da lei abitato, e in un secondo tempo la non meno sfarzosa cappella votiva, a destra del coro. Per questa cappella il Bilivert eseguì un quadro d'altare rappresentante l'Annunciazione, firmato: "Giovanni Biliverti Fiorentino fecit 1611" (attualmente spostato nella prima cappella a sinistra). La composizione è evidentemente ispirata dall'Annunciazione dipinta dal Cigoli nel 1595 per la chiesa dei cappuccini di Montughi, nei pressi di Firenze. Nella stessa chiesa pisana è conservato un altro quadro d'altare collocato nel 1611: S. Carlo Borromeo in meditazione davanti al Crocifisso.
Quadri datati o databili, eseguiti dalmaestro negli anni 1612-20, non ci sono pervenuti. Si sa che il maestro ebbe diverse commissioni da parte dei fratelli del granduca: il cardinale Gian Carlo de' Medici e don Roberto. Per il primo avrebbe dipinto la grande tela con La castità di Giuseppe, ora nei depositi della Galleria degli Uffizi.
Morto il Cigoli nel 1613, la vena creativa dell'allievo parve per alcuni anni esaurita. Nel 1621  riuscì infine a riaversi, già il quadro d'altare col Ritrovamento della Croce, che egli finì fra il maggio e il luglio del 1621 per la cappella Calderini nella chiesa di S. Croce, sembra indicare l'inizio di una ripresa. Dipinge in questo periodo il suo capolavoro: L'Angelo rifiuta i doni del vecchio Tobia e del suo figliolo, siglato e datato 1622 (nella stessa Galleria). Segue un altro capolavoro: Lucrezia Romana minacciata da Tarquinio, conservato dal 1842 a Roma nella pinacoteca dell'Accademia di S. Luca. Questo periodo felice dura poco più di una decina di anni. Due quadroni (Daniele riceve miracolosamente il cibo e Crocifissione), che il Bilivert eseguì negli anni 1625 e 1630 per il duomo di Pisa, sono già di un aspetto più convenzionale. Questo nuovo affievolirsi della forza creativa probabilmente fu causato da un indebolimento fisico dovuto a una malattia, che ebbe la sua crisi verso il 1635, quando il pittore si recò a Pisa per sottoporsi a una grave operazione chirurgica. Per assolvere un voto, da lui fatto durante la malattia, dipinse per l'altare di S. Giusto dei cappuccini, dopo la sua guarigione, un S. Francesco che riceve le stigmate, ancora sul posto: riuscì una delle sue migliori composizioni sacre. Da allora  condusse una vita ancora più devota di prima, e quando, in quel tempo (1636-1640), Francesco Furini, desistendo dal trattare soggetti profani, si convertì e prese la tonaca, egli, sotto il suo influsso, introdusse nella sua arte elementi di un misticismo pio e pacato, non smise per questo di dipingere soggetti mitologici ed allegorici, per cui i suoi clienti aristocratici avevano una manifesta preferenza. Fra questi, la Venere che si lava i piedi in uno stagno.
Il grande capolavoro, eseguito in questa sua terza ed ultima maniera, è lo Sposalizio di S. Caterina d'Alessandria sopra l'altare della cappella Bardi nella chiesa fiorentina della SS. Annunziata, siglato e datato 1642, opera ispirata da un sentimento religioso sincero e profondo. Ultimo suo quadro è il bellissimo tondo con la Sacra Famiglia con s. Elisabetta e s. Giovannino, siglato e datato 1644, conservato nel castello di Fredensborg in Danimarca.
Morì a Firenze il 16 luglio 1644.
Nel testo "Palazzo Salviati alla Lungara" sono menzionati tre quadri del pittore: un S. Francesco a mezza figura collocato nella seconda anticamera accanto alla Cappella, una Maddalena collocata nella Camera delle Udienze e infine un grande quadro raffigurante Loth con le figlie (cm 257x307) che si trovava nella stanza del Camino.
FIDANI, Orazio ( 1606 - 1656) 

ricerca a cura di Adele Pizzullo

Orazio Fidani nacque a Firenze, nella parrocchia di S. Frediano, il 10 luglio 1606, da Matteo di Domenico e da Bernardina di Filippo Amadori. Pittore fiorentino della prima metà del Seicento, fu tra i protagonisti del naturalismo fiorentino, con Giovanni Bilivert di cui fu fidato allievo e collaboratore e con Francesco Furini. La sua pittura è caratterizzata dal modo romantico di interpretare sia le scene bibliche che quelle profane. In molti dei suoi dipinti, prevalentemente di grandi dimensioni, si notano indubbie influenze caravaggesche. Nel 1630 firmò per la chiesa di S. Maria a Pulicciano, presso Ronta in Mugello, la sua prima opera oggi nota, un'Annunciazione che deriva dal famoso affresco trecentesco della Ss. Annunziata di Firenze. Risale al 1634 la grande tela del Congedo di Angelica e Medoro dai pastori (Firenze, Galleria degli Uffizi), il cui soggetto, tratto dall'Orlando Furioso, sottolinea la sua piena partecipazione  ai temi della o favola barocca, tanto in voga a Firenze, derivati sia dagli scrittori antichi, sia dai poemi cavallereschi del Rinascimento. Del 1635 dipinse un Battesimo di Cristo nella parrocchiale di Celle presso Pistoia. In ambedue le opere il Fidani si mostra stilisticamente debitore del Bilivert. Con il 1640, anno della Morte di Didone, del Museo Tencalla a Bissone (Canton Ticino), inizia un decennio fecondo di opere che ormai denotano, insieme con la raggiunta autonomia stilistica, la ricerca di un linguaggio personale, teso a immettere nelle scene una maggiore circolazione di aria e di luce, di ricordo ancora lontanamente caravaggesco e guercinesco, attento tuttavia alle novità di artisti come il Furini o il Ficherelli e alla loro pittura morbida e talvolta sfatta. Viceversa nei quadri sacri della prima metà del quinto decennio - Resurrezione, 1642, nella pieve di Montopoli Val d'Arno; Estasi di s. Francesco, 1644, in S. Verdiana a Castelfiorentino; Visione di s. Antonio, 1644, in S. Francesco a Pietrasanta; Angelo Custode, in S. Regolo a Montaione - il pittore si attiene ancora a schemi iconografici strettamente cigoleschi e bilivertiani, anche se con caratteri più personali. Tra le opere di tema sacro, dopo le importanti tele del 1645, va innanzitutto ricordato il Martirio di s. Erasmo (Firenze, Depositi delle Gallerie fiorentine), firmato e datato 1646, e il quadro con I Ss. Michele Arcangelo, Giacomo, Stefano e Domenico, che  eseguì nel 1647 per la chiesa di S. Stefano a Montefioralle (presso Greve in Chianti), dove tuttora è conservato.
Nell'ultimo periodo della sua attività, fu impegnato soprattutto per la certosa del Galluzzo, negli immediati dintorni di Firenze, che fu certamente la sua impresa più complessa:  otto grandi tele collocate al di sopra degli stalli del coro (due con gli evangelisti S. Matteo e S. Giovanni, quattro con i Dottori della Chiesa; un quadro ottagono con l'Esaltazione di s. Bruno, e un altro pure ottagono con l'Elemosina di s. Lorenzo) eseguite tutte tra la fine del 1649 e l'estate del 1650. A questo gruppo si aggiungono altri quattro quadri più piccoli con Quattro santi penitenti (Giovanni Battista, Gerolamo, Antonio abate, Benedetto) del 1653. Nella medesima chiesa dette inizio nell'agosto 1653 alla decorazione della volta eseguendo entro il dicembre di quell'anno l'Esaltazione dei simboli della Passione di Cristo, nelle vele della campata centrale, quindi, nel 1655, la Gloria dei cori angelici, nella prima campata.
Morì a Firenze il 10 gennaio 1656 e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Apostoli.
Nel testo "Palazzo Salviati alla Lungara" risulta un dipinto del Fidani: il Martirio di S.Lorenzo che era collocato nella prima camera verso strada.