Siamo in piazza Della Rovere e, fronte al Tevere, volgiamo lo sguardo verso sinistra, alla fine della
piazza, inizia la via di Porta Santo Spirito che è sbarrata dalla omonima
Porta, una poderosa architettura classicheggiante articolata su quattro colonne
giganti e due nicchie laterali con arco centrale. In origine era nota come
“posterula Saxonum” (posterula dei Sassoni) in quanto nel 727 il re Ine del
Wessex si trasferisce a Roma dopo l’abdicazione e qui fonda una “schola
Saxonum”, con annessa chiesa e cimitero,
con lo scopo di fornire una preparazione e un’istruzione cattolica al
clero e ai nobili inglesi. I sassoni risultano presenti in quella zona fino
alla fine del XII secolo, allorquando il re Giovanni Senzaterra dona il complesso
della schola per l’edificazione della chiesa di Santa Maria in Saxia (che poi
diventa Santo Spirito in Sassia), e dell’ospedale tuttora esistente. Con
l’occasione papa Innocenzo III fa aggiornare anche il nome della porta in Santo
Spirito. Questa è tra le più antiche porte del muro che circonda il Vaticano ed
è stata oggetto di un’aspra disputa tra due grandi artisti, Michelangelo
Buonarroti e Antonio da Sangallo il Giovane il quale ideò la struttura nel
1543. L’opera alla fine è rimasta incompiuta in quanto il Buonarroti, dopo la
morte del Sangallo, la completò ma in maniera frettolosa e approssimativa,
facendo qualche intervento di tipo disfattista (non potendo demolirla) tendente
sia a rovinarla sia per rifarsi delle tremende critiche che gli venivano
rivolte per il poco apprezzato progetto di Porta Pia. Oltrepassata la Porta
Santo Spirito si percorre la via dei Penitenzieri all’inizio della quale a
destra troviamo il portale barocco eretto da Alessandro VII (1664), che
rappresenta l’ingresso principale all’Ospedale di Santo Spirito e usato fino a
quando la struttura fu ampliata con i nuovi fabbricati che fronteggiano piazza
Della Rovere e il lungotevere in Sassia. L’Ospedale, fondato nel 1198 da
Innocenzo III che l’affidò a Guido di Montpellier (creatore in Francia
dell’Ordine ospitaliero di Santo Spirito), fu distrutto da un furioso incendio
nel 1471; nel 1473 Sisto IV provvide a ricostruirlo grazie all’opera di vari
architetti, fra cui Giovanni Pietro de’ Gherarducci. E fu proprio una scelta
felice quella di Innocenzo III di affidare l’ospedale di Santo Spirito in
Sassia, cui la porta appoggia a destra e
che era destinata anche ad assistere l’infanzia abbandonata e i poveri,
all’ordine di Santo Spirito.
Atto Costitutivo e Statuto della Associazione
L'Atto Costitutivo, lo Statuto della Associazione, la Scheda di Adesione sono pubblicati sotto la data del 2 febbraio 2013 di questo Blog
Per la traduzione dall'Italiano in altre lingue e viceversa, utilizzare "Traduttore" situato alla fine della pagina del blog
giovedì 25 settembre 2014
lunedì 22 settembre 2014
Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo
Ricerca a cura di Luigi Marsibilio
Giunti al termine di via della Lungara si entra in piazza Della Rovere.
Tralasciando il primo palazzo a sinistra, palazzo Salviati, in quanto sarà
oggetto di più ampia illustrazione in seguito, dalla parte opposta della piazza
si trova l’ospedale Santo Spirito in Sassia con l’omonima porta che
descriveremo in altro capitolo. A sinistra della piazza si inerpica verso
l’omonimo colle la via del Gianicolo. Sul lato sinistro di questa via,
seminascosto, c’è l’imbocco della salita di Sant’Onofrio, aperta nel 1446 dal
girolamino Jacobelli, al termine della quale si ha di fronte la scalinata della
chiesa omonima, preceduta da un sagrato erboso e che è delimitata su due lati
da un portico rinascimentale con archi a tutto sesto su colonne antiche. Sul
sito dove in seguito sarebbe sorta la chiesa di S. Onofrio, il Beato Nicolò da
Forca Palena, nel 1419 fonda un oratorio, acquistando i terreni grazie alle
elemosine dei fedeli. Nel 1439 inizia la costruzione della chiesa a partire dall’oratorio
esistente e corrispondente alla attuale Cappella di S. Onofrio, che rappresenta
quindi la parte più antica della chiesa. Nel 1517 l’edificio viene completato
ma la realizzazione delle decorazioni interne si protrae per tutto il XVI
secolo. La realizzazione del complesso monastico mostra caratteristiche
architettoniche, stili e soggetti pittorici appartenenti sia al periodo
tardo-medievale che a quello rinascimentale. La chiesa è a navata unica a
pianta rettangolare absidata, con tre cappelle laterali sul lato est (entrando
a sinistra) e due cappelle sul lato ovest (entrando a destra); sul lato corto a
nord, sopra l’ingresso, si affaccia la loggia del coro collegata alla galleria
porticata sovrastante il chiostro del convento. Nel 1527, durante il Sacco di
Roma, un contingente di lanzichenecchi si stabilisce nei locali della chiesa.
Nel 1849, durante la battaglia in difesa della Repubblica Romana, le campane
della chiesa vengono prelevate per essere fuse ed utilizzate come proiettili da
cannone. Fortunatamente Giuseppe Garibaldi risparmia la più piccola delle
campane, la cosiddetta “campana del Tasso”. Nei diversi settori della chiesa si
conservano importanti affreschi, in particolare: quelli del portico sono del
Domenichino; quelli dell’abside di Baldassarre Peruzzi mentre quelli del
bellissimo chiostro sono del Cavalier d’Arpino. Da un atrio a destra del
portico si accede al chiostro che è a pianta rettangolare con arcate a tutto
sesto su colonne più antiche sovrastate da una galleria porticata. Nelle
lunette delle pareti sono visibili labili tracce di dipinti della metà del sec.
XV che raffigurano scene della vita e della leggenda di S. Onofrio. Gli
affreschi furono eseguiti per il giubileo del 1600 da Giuseppe Cesari,
Sebastiano Strada e Claudio Ridolfi. Nell’annesso convento Torquato Tasso
trascorre l’ultimo periodo della sua vita e la cella dove il poeta muore è
stata trasformata in un piccolo museo. Nel museo Tassiano si conservano
manoscritti del poeta, antiche edizioni dei suoi libri, la maschera mortuaria e
la lapide tombale proveniente dalla chiesa dove il poeta è sepolto nella prima
cappella a sinistra. Giacomo Leopardi, dopo aver visitato questo luogo
incantevole e suggestivo, in una lettera indirizzata al fratello Carlo scrive:
“ fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico
piacere che ho provato a Roma”. Nel 1945, papa Pio XII concede all’Ordine
Equestre del Santo Sepolcro la chiesa e il convento di S. Onofrio al Gianicolo,
forse proprio in onore della Gerusalemme liberata di tassiana memoria. Poco più
in alto del convento è conservata la cosiddetta “quercia del Tasso”, sotto la
quale sembra che il poeta andasse a contemplare e meditare. Il complesso è
attualmente diviso fra i Frati dell’Atonement (a cui è affidata la cura
spirituale della chiesa), i Cavalieri del Santo Sepolcro e l’Ospedale Bambin
Gesù.
lunedì 15 settembre 2014
Palazzo Corsini alla Lungara
Ricerca a cura di Luigi Marsibilio
Sempre percorrendo via della Lungara, tra i palazzi che tra il
Cinquecento e il Seicento resero splendida questa via, troviamo Palazzo
Corsini. Costruito dal cardinale Raffaele Riario, nipote di Sisto IV, nel
periodo 1510-1512. Fra il 1659 e il 1689 vi dimora la regina Cristina di
Svezia, che ne fa il centro intellettuale della vita romana, fondandovi
un’accademia da cui viene poi derivata quella dell’Arcadia. Nel 1736 il palazzo
viene acquistato dalla famiglia fiorentina dei Corsini, che intendevano
utilizzarla per sistemare la galleria dei dipinti e la biblioteca di
famiglia. Il cardinale Neri Corsini,
nipote di Clemente XII, affida i lavori di ristrutturazione ed ampliamento al
suo conterraneo Ferdinando Fuga, che per il Papa stava già lavorando al Palazzo
del Quirinale e al Palazzo della Consulta. Il Fuga trasforma la piccola villa
suburbana dei Riario in una vera e propria reggia, in un’ambientazione rimasta
quella originaria, con il fronte uniforme che contrasta con l’insieme
scenografico, tipicamente barocco, degli spazi interni costituiti dal vestibolo
tripartito, dalla scala a due rampe ai lati della galleria che conduce al
giardino e dai cortili laterali. Il monumentale scalone, uno dei più belli di
Roma, con le sue grandi finestre, funge da belvedere panoramico sui giardini,
posti in pendenza sul colle del Gianicolo. Dopo la morte della regina Cristina
nel palazzo hanno dimorato altri illustri personaggi, tra i quali Giuseppe
Bonaparte e la principessa Marianna d’Austria. Nel 1833 i Corsini vendono il
palazzo allo Stato italiano. Attualmente è la sede dell’Accademia dei Lincei
con la relativa ricchissima biblioteca e la Galleria Nazionale d’Arte Antica,
dove sono esposti, fra gli altri, quadri di Rubens, Antonio van Dyck, Guido
Reni, Guercino e Caravaggio. Nel giardino ha sede l’Orto botanico di Roma.
giovedì 11 settembre 2014
Casa dell'Aviatore: si parla di controinsurezione
Cari amici e sostenitori,
Il 18 Settembre riprenderà il ciclo CONVERSAZIONI organizzato dal CESMA presso la Casa dell'Aviatore.
Come sempre, dopo la conferenza sarà possibile restare a cena (quota di partecipazione 20 Euro).
--- Invito ---
CONVERSAZIONI
Sulla teoria della guerra, sulla strategia e sulla storia militare.
Sulla teoria della guerra, sulla strategia e sulla storia militare.
a cura del Gen. Isp. Basilio Di Martino e del T. Col. Alessandro Cornacchini
Contro-insurrezione: Filippine Algeria Vietnam
Dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale si sviluppò in Malesia un movimento insurrezionale che, sfruttando le particolari condizioni economico-sociali della regione e la situazione determinatasi alla fine del conflitto, puntò a sconvolgere il processo di decolonizzazione mirando all’instaurazione di un regime di stampo comunista. Lo stesso accadde nelle Filippine, minacciando di distruggere la fragile democrazia nata con la dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1946.
Le due campagne di contro-insurrezione rappresentano un caso di studio esemplare sia per gli errori della prima fase, sia per la strategia di successo utilizzata nella seconda, con l’efficace combinazione di riforme sociali e di misure militari.
relatori:
Prof. Gastone Breccia e Gen. Isp. Basilio Di Martino
Roma. Casa dell’Aviatore. Viale dell’Università, 20
18 Settembre 2014 (17.00 – 18.30)
Per la partecipazione è gradita la registrazione da effettuare qui – sul sito www.cesmamil.org/eventi-in-programma troverete le date dei prossimi eventi.
In caso di difficoltà ad utilizzare il formulario, e per la prenotazione della cena si prega di comunicare i propri riferimenti all’indirizzo email cesma.mil@gmail.com.
CESMA - GdC
Dr. Gustavo Scotti di Uccio
Via Marcantonio Colonna 23/25
00192 Roma
mercoledì 10 settembre 2014
Chiesa di San Giuseppe alla Lungara
Ricerca a cura di Luigi Marsibilio
Nell’area dell’ansa del Tevere, a ridosso del quartiere Trastevere, partendo
da porta Settimiana si percorre via della Lungara, il lungo asse rinascimentale
voluto da papa Giulio II (1508 – 1512). Prima delle opere di regimazione del
Tevere era il solo asse urbano fra Trastevere e il Vaticano e costituiva una
tra le più belle prospettive di Roma verso il fiume. Ai numeri civici 43 – 45
troviamo la chiesa di San Giuseppe alla Lungara e l’annesso convento. La
chiesa, eretta nel 1734 durante il pontificato di Clemente XIII, su progetto di
Ludovico Rusconi Sassi, subisce restauri nel corso dell’Ottocento, a cura di
Antonio Cipolla; in particolare, nel 1872 viene ricostruita la cupola che era
crollata. La facciata si sviluppa a due ordini e l’interno, a pianta
ottagonale, richiama architettonicamente il San Carlino borrominiano, in cui
prevale la stretta connessione tra la cupola ellittica su pennacchi e la parte
del basamento, caratterizzata dal movimento di superfici piane e convesse.
All’altare maggiore troviamo un dipinto di Mariano Rossi (1774) “Il sogno di S. Giuseppe”; dello stesso
artista altri due dipinti sulle pareti laterali del piccolo presbiterio: a
destra “La strage degli innocenti”, a
sinistra “L’adorazione dei Magi”. Sempre all’altare, altri due dipinti: a destra
la “Deposizione dalla croce” di
Nicolò Ricciolini, a sinistra la “Vergine
con i Ss. Anna e Gioacchino” di Girolamo Pesci. In sacrestia si può
ammirare un busto marmoreo di Clemente XI e nel soffitto un dipinto
raffigurante “Il trionfo della chiesa”
di Mariano Rossi.
L’attiguo convento, affidato alla congregazione dei padri Pii Operai,
viene edificato nel periodo 1760-64 da Giovanni Francesco Fiori, con una bella
facciata ricca di elementi decorativi. Nella cappella al primo piano, tutti i
dipinti sono di Mariano Rossi.
Giovanni dalle Bande Nere
Giovanni di Giovanni de’ MEDICI, meglio noto come Giovanni dalle Bande Nere, nasce
il 6 aprile 1498 a Forlì. La madre, Caterina Sforza, la signora guerriera di
Imola e Forlì, era una delle donne più famose del Rinascimento, che si era
strenuamente difesa da Cesare Borgia nella sua rocca forlivese. Il padre, Giovanni
di Pierfrancesco de’ Medici, detto il Popolano, era giunto alla corte di
Caterina Sforza due anni prima come ambasciatore della Repubblica fiorentina.
Il pargolo viene battezzato con il nome di
Ludovico, in onore dello zio Ludovico il Moro, ma dopo l’improvvisa morte del
padre avvenuta nel settembre del 1498, la madre gli cambia il nome in Giovanni.
Questi passa la propria infanzia a Firenze, nel convento di S. Vincenzo
Annalena poiché la madre era prigioniera di Cesare Borgia. Nel luglio del 1501 Caterina,
costretta dai Borgia a rinunciare a ogni pretesa su Imola e Forlì, raggiunge il
figlio a Firenze e si dedica alla sua educazione, sforzandosi di trasmettergli
i valori della nobiltà militare italiana alla quale ella apparteneva. Caterina
muore il 28 maggio 1509 avendo poco prima del decesso affidato il figlio alla
tutela di Jacopo Salviati, membro di una delle famiglie più antiche e potenti
di Firenze, e di sua moglie Lucrezia de’ Medici, figlia di Lorenzo il
Magnifico.
Fin dall’infanzia Giovanni dimostra un
temperamento violento e insofferente all’autorità, solo in parte frenato dalla
forte figura materna. Da adolescente prevale il suo carattere rissoso e
dissoluto, amante delle armi, del gioco e delle donne, e proprio a causa delle
sue violente intemperanze è costretto per lunghi periodi lontano da Firenze,
nelle sue proprietà di Castello e di Trebbio. Grazie alla intercessione di
Jacopo Salviati le intemperanze di Giovanni vengono rimediate ma, nel 1511, non
riesce ad evitargli il bando da Firenze, per l’uccisione di un suo coetaneo in
una lite tra bande di giovani. Il bando viene poi ritirato l’anno successivo.
Nel 1513 Jacopo Salviati viene nominato
ambasciatore a Roma, Giovanni lo segue e grazie sempre all’intercessione del
suo tutore, viene iscritto nelle milizie pontificie presso papa Leone X,
fratello di Lucrezia de’ Medici. Giovanni vive quasi per intero la sua breve ma
intensa vita adulta combattendo al servizio del blocco di potere che si era
creato tra l’élite finanziaria fiorentina e i papi della famiglia
Medici, Leone X e Clemente VII. Il suo battesimo del fuoco e il suo primo vero
comando (una compagnia di cavalleria) avviene nel marzo del 1516 durante la
guerra contro Urbino (1516-17), voluta da Leone X per spogliare il duca di
Urbino Francesco Maria I della Rovere del suo Stato e del titolo per darli al
proprio nipote, Lorenzo di Piero de’ Medici.
Nel 1517 Giovanni sposa la figlia di Jacopo
Salviati e di Lucrezia de’ Medici, Maria e da questa unione nasce, il 15 giugno
1519, il loro unico figlio, Cosimo, destinato un giorno a diventare Granduca di
Firenze. Tra il 1519 e il 1520, Leone X si serve di Giovanni e delle sue truppe
per riaffermare con le armi l’autorità papale su alcuni degli elementi più
riottosi della nobiltà dello Stato della Chiesa. Risalgono a questo periodo la
maggior parte degli episodi di violenza, duelli e risse sia a Firenze sia a
Roma, in virtù delle quali Giovanni sarebbe poi rimasto famoso. Nel 1521
partecipa all’invasione del Ducato di Milano, allora sotto il controllo della
Francia, congiungendosi alle forze imperiali e papali comandate da Prospero
Colonna.
La campagna del 1521 rappresenta il primo
assaggio di guerra vera per Giovanni che fino a quel momento aveva partecipato
a conflitti di dimensioni e portata limitate. L’occasione costituisce anche il
suo primo diretto contatto con il frenetico processo di sperimentazione tattica
che caratterizza la fase finale delle guerre d’Italia. Nel corso della sua
breve carriera, Giovanni si distingue per l’abilità e l’aggressività con le
quali riesce a sfruttare le potenzialità della cavalleria leggera (sia lancieri
sia archibugieri a cavallo) e della fanteria tattica, composta da insiemi
organici di picchieri e tiratori, in un periodo di transizione delle tecniche
di combattimento. L’evento bellico, infatti, si trasforma da una guerra
caratterizzata da frequenti battaglie campali a una prevalentemente di manovra,
fatta di piccoli scontri, assedi ed imboscate. Sebbene non fosse un innovatore
(come è stato sostenuto dai suoi primi biografi), ma un interprete di altissimo
livello della scienza militare del suo tempo, Giovanni emerge quale elemento di
spicco della generazione di condottieri che portò a compimento il processo di
trasformazione dell’arte della guerra, iniziato in Italia nel 1494 con la
calata di Carlo VIII di Valois. La campagna del 1521 si conclude con pieno
successo per le forze di Leone X e Carlo V d’Asburgo: nel novembre il capitano generale
Prospero Colonna occupa Milano riportando al potere Francesco II Sforza, allora
alleato degli Asburgo, mentre Parma e Piacenza tornano a far parte dello Stato
della Chiesa. Sfortuna vuole che improvvisamente, il 21 dicembre dello stesso anno,
Leone X muore e a Giovanni viene a mancare il suo principale referente politico
in un momento critico per la sua carriera. Per manifestare il lutto egli fa
annerire le insegne che fino ad allora erano bianche e viola, e tale atto lo
rende famoso come Giovanni dalle Bande Nere.
Ai primi del 1522 Giovanni viene nominato
governatore delle truppe della Repubblica fiorentina, i cui confini risultavano
malsicuri dalle conseguenze politiche e militari della repentina eclissi del
potere mediceo a Roma. Nel marzo dello stesso anno però Giovanni, spinto dalla
scarsa considerazione mostrata nei suoi confronti sia dagli Imperiali sia dai
Medici, decide di accettare le generose offerte che gli vengono profferte dal
campo francese.
Le modalità dell’improvviso cambio di
bandiera di Giovanni finiscono per nuocere gravemente alla sua reputazione di
condottiero, provocando tensioni e spaccature tra le sue truppe.
Alla fine del 1523 Giovanni, che militava nel
campo imperiale, si distingue con i suoi nella vittoriosa difesa di Milano
assediata dall’esercito francese, guidato dall’ammiraglio di Francia Guillaume
Gouffier. Nell’aprile 1524 affronta cinquemila fanti svizzeri, la più temuta
fanteria dell’epoca, che avevano disceso la Valtellina per andare in soccorso
dei francesi; Giovanni li sconfigge a Caprino Bergamasco, costringendo le
truppe francesi a lasciare l’Italia.
Terminate le operazioni in Lombardia con
un’altra dura sconfitta per la Francia, Giovanni, grazie anche alla preziosa
mediazione della moglie Maria Salviati, torna al servizio del ramo principale
della famiglia Medici, il cui potere era di nuovo saldo sia a Firenze sia a
Roma in seguito alla morte di Adriano VI, che avviene il 14 settembre 1523, e
all’elezione del cardinale Giulio de’ Medici a papa col nome di Clemente VII, il
19 novembre 1523. Il nuovo pontefice paga tutti i debiti di Giovanni che però è
costretto a passare con i francesi. Nel dicembre 1524 Giovanni, alla testa di duemila
fanti e circa duecento cavalleggeri, si unisce all’esercito francese che sta
assediando Pavia, dove si erano ritirate le truppe imperiali sotto il comando
di Antonio de Leyva. E proprio durante una scaramuccia sotto le mura della
città assediata, Giovanni viene ferito gravemente alla gamba destra da un colpo
di archibugio; costretto a lasciare il campo per farsi curare, non partecipa
alla decisiva battaglia di Pavia (24 febbraio 1525), che si conclude con la
spettacolare disfatta dell’esercito francese e la cattura dello stesso re
Francesco I. Indebolite dalle perdite sostenute durante l’assedio e prive del
loro capo, nel corso della battaglia le truppe di Giovanni vengono travolte e
disperse dalla sortita della guarnigione di Pavia.
Il rovinoso crollo delle fortune francesi
in Italia seguito alla sconfitta di Pavia e la minaccia dell’affermarsi
dell’egemonia asburgica sulla penisola provocano la formazione della Lega
antimperiale di Cognac, siglata il 22 maggio 1526 tra Francia, il duca di
Milano, Venezia, Firenze e il papa, con l’appoggio esterno dell’Inghilterra. Giovanni
viene nominato capitano generale della fanteria italiana dell’esercito della
Lega, destinato a scacciare gli Imperiali dal Ducato di Milano. Il 20 settembre
1526 i simpatizzanti imperiali Colonna e i loro partigiani penetrano a sorpresa
in Roma, obbligando con le armi Clemente VII a ritirarsi dalla Lega per quattro
mesi. Per mantenere il proprio comando Giovanni, che era soldato del papa, si
trova nuovamente a passare al servizio del Re di Francia. La situazione di
sostanziale stallo della guerra in Lombardia seguita alla forzata, seppur
momentanea, neutralità di Clemente VII, viene interrotta dalla calata dal
Tirolo di 12 mila fanti tedeschi reclutati e guidati da Georg von Frundsberg,
che arrivano il 21 novembre a Castiglione delle Stiviere dopo aver superato le
difese dei valichi alpini predisposte dall’esercito veneziano. Per impedire il
congiungimento dei lanzichenecchi di Frundsberg con le residue forze imperiali
comandate dal duca Carlo di Borbone connestabile di Francia, Francesco Maria I
Della Rovere, capitano generale della Lega in Italia, decide di seguire il
consiglio di Giovanni, lasciando le truppe francesi e svizzere a presidiare il
campo fortificato presso Vaprio d’Adda, posto a copertura di Milano, e
muovendosi con le truppe più mobili della Lega, cioè la cavalleria e la
fanteria italiane, per intercettare i Tedeschi prima che potessero attraversare
il Po e rompere così il contatto con le forze della Lega. L’azione delle truppe
italiane, guidate personalmente da Giovanni con la consueta aggressività, risulta
di particolare efficacia, e sta cominciando a dare i primi risultati quando, il
25 novembre, alla conclusione di uno scontro con la retroguardia dei
lanzichenecchi a Governolo (alla confluenza del Mincio nel Po, nel Marchesato
di Mantova), Giovanni viene colpito da un colpo di falconetto (un pezzo di
artiglieria leggera), che gli fracassa il femore della gamba destra.
Trasportato tra molte difficoltà a Mantova, nel palazzo del suo amico e
compagno d’armi Luigi Gonzaga, il ritardo nei soccorsi e la gravità della
ferita rendono vana l’amputazione dell’arto leso, eseguita dal celebre medico
ebreo Mastro Abramo.
Giovanni muore a Mantova nella notte tra
il 29 e il 30 novembre 1526, probabilmente in conseguenza di una grave
infezione. Sebbene nel corso della sua esistenza avesse raggiunto una certa
fama, egli non si era sostanzialmente distinto dagli altri giovani e capaci
comandanti della sua generazione, che erano caduti sul campo nel corso della
fase più sanguinosa e violenta delle guerre d’Italia prima di poter raggiungere
la maturità militare. Giovanni aveva partecipato a una sola grande battaglia
(quella della Bicocca), giocando in essa un ruolo abbastanza marginale e
militando tra i perdenti. I suoi più grandi successi li aveva ottenuti al comando
di alcune centinaia di cavalieri e di una unità di fanteria le cui dimensioni
non superavano quelle di un reggimento o, secondo la terminologia militare
italiana dell’epoca, di un «colonnello» (termine che indicava sia l’unità, cioè
un corpo tra le 1000 e le 3000 unità, sia il suo comandante), raggiungendo il
rango di generale solo nel corso della sua ultima campagna.
giovedì 4 settembre 2014
BUON RIENTRO DALLE VACANZE
a tutti i seniores un augurio di un felice rientro dalle vacanze e dalle licenze. dalla prossima settimana riprenderà l'inserimento dei post su questo blog in concomitanza con la ripresa della attività della Associazione
Iscriviti a:
Post (Atom)