Atto Costitutivo e Statuto della Associazione

L'Atto Costitutivo, lo Statuto della Associazione, la Scheda di Adesione sono pubblicati sotto la data del 2 febbraio 2013 di questo Blog

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giovedì 25 settembre 2014

Porta Santo Spirito

Ricerca a cura di Luigi Marsibilio












Siamo in piazza Della Rovere e, fronte al Tevere, volgiamo lo sguardo verso sinistra, alla fine della piazza, inizia la via di Porta Santo Spirito che è sbarrata dalla omonima Porta, una poderosa architettura classicheggiante articolata su quattro colonne giganti e due nicchie laterali con arco centrale. In origine era nota come “posterula Saxonum” (posterula dei Sassoni) in quanto nel 727 il re Ine del Wessex si trasferisce a Roma dopo l’abdicazione e qui fonda una “schola Saxonum”, con annessa chiesa e cimitero,  con lo scopo di fornire una preparazione e un’istruzione cattolica al clero e ai nobili inglesi. I sassoni risultano presenti in quella zona fino alla fine del XII secolo, allorquando il re Giovanni Senzaterra dona il complesso della schola per l’edificazione della chiesa di Santa Maria in Saxia (che poi diventa Santo Spirito in Sassia), e dell’ospedale tuttora esistente. Con l’occasione papa Innocenzo III fa aggiornare anche il nome della porta in Santo Spirito. Questa è tra le più antiche porte del muro che circonda il Vaticano ed è stata oggetto di un’aspra disputa tra due grandi artisti, Michelangelo Buonarroti e Antonio da Sangallo il Giovane il quale ideò la struttura nel 1543. L’opera alla fine è rimasta incompiuta in quanto il Buonarroti, dopo la morte del Sangallo, la completò ma in maniera frettolosa e approssimativa, facendo qualche intervento di tipo disfattista (non potendo demolirla) tendente sia a rovinarla sia per rifarsi delle tremende critiche che gli venivano rivolte per il poco apprezzato progetto di Porta Pia. Oltrepassata la Porta Santo Spirito si percorre la via dei Penitenzieri all’inizio della quale a destra troviamo il portale barocco eretto da Alessandro VII (1664), che rappresenta l’ingresso principale all’Ospedale di Santo Spirito e usato fino a quando la struttura fu ampliata con i nuovi fabbricati che fronteggiano piazza Della Rovere e il lungotevere in Sassia. L’Ospedale, fondato nel 1198 da Innocenzo III che l’affidò a Guido di Montpellier (creatore in Francia dell’Ordine ospitaliero di Santo Spirito), fu distrutto da un furioso incendio nel 1471; nel 1473 Sisto IV provvide a ricostruirlo grazie all’opera di vari architetti, fra cui Giovanni Pietro de’ Gherarducci. E fu proprio una scelta felice quella di Innocenzo III di affidare l’ospedale di Santo Spirito in Sassia,  cui la porta appoggia a destra e che era destinata anche ad assistere l’infanzia abbandonata e i poveri, all’ordine di Santo Spirito.  

lunedì 22 settembre 2014

Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo

Ricerca a cura di Luigi Marsibilio





Giunti al termine di via della Lungara si entra in piazza Della Rovere. Tralasciando il primo palazzo a sinistra, palazzo Salviati, in quanto sarà oggetto di più ampia illustrazione in seguito, dalla parte opposta della piazza si trova l’ospedale Santo Spirito in Sassia con l’omonima porta che descriveremo in altro capitolo. A sinistra della piazza si inerpica verso l’omonimo colle la via del Gianicolo. Sul lato sinistro di questa via, seminascosto, c’è l’imbocco della salita di Sant’Onofrio, aperta nel 1446 dal girolamino Jacobelli, al termine della quale si ha di fronte la scalinata della chiesa omonima, preceduta da un sagrato erboso e che è delimitata su due lati da un portico rinascimentale con archi a tutto sesto su colonne antiche. Sul sito dove in seguito sarebbe sorta la chiesa di S. Onofrio, il Beato Nicolò da Forca Palena, nel 1419 fonda un oratorio, acquistando i terreni grazie alle elemosine dei fedeli. Nel 1439 inizia la costruzione della chiesa a partire dall’oratorio esistente e corrispondente alla attuale Cappella di S. Onofrio, che rappresenta quindi la parte più antica della chiesa. Nel 1517 l’edificio viene completato ma la realizzazione delle decorazioni interne si protrae per tutto il XVI secolo. La realizzazione del complesso monastico mostra caratteristiche architettoniche, stili e soggetti pittorici appartenenti sia al periodo tardo-medievale che a quello rinascimentale. La chiesa è a navata unica a pianta rettangolare absidata, con tre cappelle laterali sul lato est (entrando a sinistra) e due cappelle sul lato ovest (entrando a destra); sul lato corto a nord, sopra l’ingresso, si affaccia la loggia del coro collegata alla galleria porticata sovrastante il chiostro del convento. Nel 1527, durante il Sacco di Roma, un contingente di lanzichenecchi si stabilisce nei locali della chiesa. Nel 1849, durante la battaglia in difesa della Repubblica Romana, le campane della chiesa vengono prelevate per essere fuse ed utilizzate come proiettili da cannone. Fortunatamente Giuseppe Garibaldi risparmia la più piccola delle campane, la cosiddetta “campana del Tasso”. Nei diversi settori della chiesa si conservano importanti affreschi, in particolare: quelli del portico sono del Domenichino; quelli dell’abside di Baldassarre Peruzzi mentre quelli del bellissimo chiostro sono del Cavalier d’Arpino. Da un atrio a destra del portico si accede al chiostro che è a pianta rettangolare con arcate a tutto sesto su colonne più antiche sovrastate da una galleria porticata. Nelle lunette delle pareti sono visibili labili tracce di dipinti della metà del sec. XV che raffigurano scene della vita e della leggenda di S. Onofrio. Gli affreschi furono eseguiti per il giubileo del 1600 da Giuseppe Cesari, Sebastiano Strada e Claudio Ridolfi. Nell’annesso convento Torquato Tasso trascorre l’ultimo periodo della sua vita e la cella dove il poeta muore è stata trasformata in un piccolo museo. Nel museo Tassiano si conservano manoscritti del poeta, antiche edizioni dei suoi libri, la maschera mortuaria e la lapide tombale proveniente dalla chiesa dove il poeta è sepolto nella prima cappella a sinistra. Giacomo Leopardi, dopo aver visitato questo luogo incantevole e suggestivo, in una lettera indirizzata al fratello Carlo scrive: “ fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato a Roma”. Nel 1945, papa Pio XII concede all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro la chiesa e il convento di S. Onofrio al Gianicolo, forse proprio in onore della Gerusalemme liberata di tassiana memoria. Poco più in alto del convento è conservata la cosiddetta “quercia del Tasso”, sotto la quale sembra che il poeta andasse a contemplare e meditare. Il complesso è attualmente diviso fra i Frati dell’Atonement (a cui è affidata la cura spirituale della chiesa), i Cavalieri del Santo Sepolcro e l’Ospedale Bambin Gesù.



lunedì 15 settembre 2014

Palazzo Corsini alla Lungara

Ricerca a cura di Luigi Marsibilio

Sempre percorrendo via della Lungara, tra i palazzi che tra il Cinquecento e il Seicento resero splendida questa via, troviamo Palazzo Corsini. Costruito dal cardinale Raffaele Riario, nipote di Sisto IV, nel periodo 1510-1512. Fra il 1659 e il 1689 vi dimora la regina Cristina di Svezia, che ne fa il centro intellettuale della vita romana, fondandovi un’accademia da cui viene poi derivata quella dell’Arcadia. Nel 1736 il palazzo viene acquistato dalla famiglia fiorentina dei Corsini, che intendevano utilizzarla per sistemare la galleria dei dipinti e la biblioteca di famiglia. Il cardinale Neri Corsini, nipote di Clemente XII, affida i lavori di ristrutturazione ed ampliamento al suo conterraneo Ferdinando Fuga, che per il Papa stava già lavorando al Palazzo del Quirinale e al Palazzo della Consulta. Il Fuga trasforma la piccola villa suburbana dei Riario in una vera e propria reggia, in un’ambientazione rimasta quella originaria, con il fronte uniforme che contrasta con l’insieme scenografico, tipicamente barocco, degli spazi interni costituiti dal vestibolo tripartito, dalla scala a due rampe ai lati della galleria che conduce al giardino e dai cortili laterali. Il monumentale scalone, uno dei più belli di Roma, con le sue grandi finestre, funge da belvedere panoramico sui giardini, posti in pendenza sul colle del Gianicolo. Dopo la morte della regina Cristina nel palazzo hanno dimorato altri illustri personaggi, tra i quali Giuseppe Bonaparte e la principessa Marianna d’Austria. Nel 1833 i Corsini vendono il palazzo allo Stato italiano. Attualmente è la sede dell’Accademia dei Lincei con la relativa ricchissima biblioteca e la Galleria Nazionale d’Arte Antica, dove sono esposti, fra gli altri, quadri di Rubens, Antonio van Dyck, Guido Reni, Guercino e Caravaggio. Nel giardino ha sede l’Orto botanico di Roma.

giovedì 11 settembre 2014

Casa dell'Aviatore: si parla di controinsurezione

Cari amici e sostenitori,
Il 18 Settembre riprenderà il ciclo CONVERSAZIONI organizzato dal CESMA presso la Casa dell'Aviatore.
Come sempre, dopo la conferenza sarà possibile restare a cena (quota di partecipazione 20 Euro).

 logo CESMA
 
--- Invito ---
registrazione da effettuare qui
CONVERSAZIONI
Sulla teoria della guerra, sulla strategia e sulla storia militare.
a cura del Gen. Isp. Basilio Di Martino e del T. Col. Alessandro Cornacchini

Contro-insurrezione: Filippine Algeria Vietnam
Dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale si sviluppò in Malesia un movimento insurrezionale che, sfruttando le particolari condizioni economico-sociali della regione e la situazione determinatasi alla fine del conflitto, puntò a sconvolgere il processo di decolonizzazione mirando all’instaurazione di un regime di stampo comunista. Lo stesso accadde nelle Filippine, minacciando di distruggere la fragile democrazia nata con la dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1946.
Le due campagne di contro-insurrezione rappresentano un caso di studio esemplare sia per gli errori della prima fase, sia per la strategia di successo utilizzata nella seconda, con l’efficace combinazione di riforme sociali e di misure militari.
relatori:
Prof. Gastone Breccia e Gen. Isp. Basilio Di Martino

Roma. Casa dell’Aviatore. Viale dell’Università, 20
18 Settembre 2014 (17.00 – 18.30)

Per la partecipazione è gradita la registrazione da effettuare qui – sul sito www.cesmamil.org/eventi-in-programma troverete le date dei prossimi eventi.
In caso di difficoltà ad utilizzare il formulario, e per la prenotazione della cena si prega di comunicare i propri riferimenti all’indirizzo email cesma.mil@gmail.com.

CESMA - GdC
Dr. Gustavo Scotti di Uccio
Via Marcantonio Colonna 23/25
00192 Roma

mercoledì 10 settembre 2014

Chiesa di San Giuseppe alla Lungara

Ricerca a cura di Luigi Marsibilio



Nell’area dell’ansa del Tevere, a ridosso del quartiere Trastevere, partendo da porta Settimiana si percorre via della Lungara, il lungo asse rinascimentale voluto da papa Giulio II (1508 – 1512). Prima delle opere di regimazione del Tevere era il solo asse urbano fra Trastevere e il Vaticano e costituiva una tra le più belle prospettive di Roma verso il fiume. Ai numeri civici 43 – 45 troviamo la chiesa di San Giuseppe alla Lungara e l’annesso convento. La chiesa, eretta nel 1734 durante il pontificato di Clemente XIII, su progetto di Ludovico Rusconi Sassi, subisce restauri nel corso dell’Ottocento, a cura di Antonio Cipolla; in particolare, nel 1872 viene ricostruita la cupola che era crollata. La facciata si sviluppa a due ordini e l’interno, a pianta ottagonale, richiama architettonicamente il San Carlino borrominiano, in cui prevale la stretta connessione tra la cupola ellittica su pennacchi e la parte del basamento, caratterizzata dal movimento di superfici piane e convesse. All’altare maggiore troviamo un dipinto di Mariano Rossi (1774) “Il sogno di S. Giuseppe”; dello stesso artista altri due dipinti sulle pareti laterali del piccolo presbiterio: a destra “La strage degli innocenti”, a sinistra “L’adorazione dei Magi”.  Sempre all’altare, altri due dipinti: a destra la “Deposizione dalla croce” di Nicolò Ricciolini, a sinistra la “Vergine con i Ss. Anna e Gioacchino” di Girolamo Pesci. In sacrestia si può ammirare un busto marmoreo di Clemente XI e nel soffitto un dipinto raffigurante “Il trionfo della chiesa” di Mariano Rossi.
L’attiguo convento, affidato alla congregazione dei padri Pii Operai, viene edificato nel periodo 1760-64 da Giovanni Francesco Fiori, con una bella facciata ricca di elementi decorativi. Nella cappella al primo piano, tutti i dipinti sono di Mariano Rossi.


Giovanni dalle Bande Nere




Ricerca a cura di Luigi Marsibilio

Giovanni di Giovanni de’ MEDICI,  meglio noto come Giovanni dalle Bande Nere, nasce il 6 aprile 1498 a Forlì. La madre, Caterina Sforza, la signora guerriera di Imola e Forlì, era una delle donne più famose del Rinascimento, che si era strenuamente difesa da Cesare Borgia nella sua rocca forlivese. Il padre, Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, detto il Popolano, era giunto alla corte di Caterina Sforza due anni prima come ambasciatore della Repubblica fiorentina.
Il pargolo viene battezzato con il nome di Ludovico, in onore dello zio Ludovico il Moro, ma dopo l’improvvisa morte del padre avvenuta nel settembre del 1498, la madre gli cambia il nome in Giovanni. Questi passa la propria infanzia a Firenze, nel convento di S. Vincenzo Annalena poiché la madre era prigioniera di Cesare Borgia. Nel luglio del 1501 Caterina, costretta dai Borgia a rinunciare a ogni pretesa su Imola e Forlì, raggiunge il figlio a Firenze e si dedica alla sua educazione, sforzandosi di trasmettergli i valori della nobiltà militare italiana alla quale ella apparteneva. Caterina muore il 28 maggio 1509 avendo poco prima del decesso affidato il figlio alla tutela di Jacopo Salviati, membro di una delle famiglie più antiche e potenti di Firenze, e di sua moglie Lucrezia de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico.
Fin dall’infanzia Giovanni dimostra un temperamento violento e insofferente all’autorità, solo in parte frenato dalla forte figura materna. Da adolescente prevale il suo carattere rissoso e dissoluto, amante delle armi, del gioco e delle donne, e proprio a causa delle sue violente intemperanze è costretto per lunghi periodi lontano da Firenze, nelle sue proprietà di Castello e di Trebbio. Grazie alla intercessione di Jacopo Salviati le intemperanze di Giovanni vengono rimediate ma, nel 1511, non riesce ad evitargli il bando da Firenze, per l’uccisione di un suo coetaneo in una lite tra bande di giovani. Il bando viene poi ritirato l’anno successivo.



Nel 1513 Jacopo Salviati viene nominato ambasciatore a Roma, Giovanni lo segue e grazie sempre all’intercessione del suo tutore, viene iscritto nelle milizie pontificie presso papa Leone X, fratello di Lucrezia de’ Medici. Giovanni vive quasi per intero la sua breve ma intensa vita adulta combattendo al servizio del blocco di potere che si era creato tra l’élite finanziaria fiorentina e i papi della famiglia Medici, Leone X e Clemente VII. Il suo battesimo del fuoco e il suo primo vero comando (una compagnia di cavalleria) avviene nel marzo del 1516 durante la guerra contro Urbino (1516-17), voluta da Leone X per spogliare il duca di Urbino Francesco Maria I della Rovere del suo Stato e del titolo per darli al proprio nipote, Lorenzo di Piero de’ Medici.
Nel 1517 Giovanni sposa la figlia di Jacopo Salviati e di Lucrezia de’ Medici, Maria e da questa unione nasce, il 15 giugno 1519, il loro unico figlio, Cosimo, destinato un giorno a diventare Granduca di Firenze. Tra il 1519 e il 1520, Leone X si serve di Giovanni e delle sue truppe per riaffermare con le armi l’autorità papale su alcuni degli elementi più riottosi della nobiltà dello Stato della Chiesa. Risalgono a questo periodo la maggior parte degli episodi di violenza, duelli e risse sia a Firenze sia a Roma, in virtù delle quali Giovanni sarebbe poi rimasto famoso. Nel 1521 partecipa all’invasione del Ducato di Milano, allora sotto il controllo della Francia, congiungendosi alle forze imperiali e papali comandate da Prospero Colonna.
La campagna del 1521 rappresenta il primo assaggio di guerra vera per Giovanni che fino a quel momento aveva partecipato a conflitti di dimensioni e portata limitate. L’occasione costituisce anche il suo primo diretto contatto con il frenetico processo di sperimentazione tattica che caratterizza la fase finale delle guerre d’Italia. Nel corso della sua breve carriera, Giovanni si distingue per l’abilità e l’aggressività con le quali riesce a sfruttare le potenzialità della cavalleria leggera (sia lancieri sia archibugieri a cavallo) e della fanteria tattica, composta da insiemi organici di picchieri e tiratori, in un periodo di transizione delle tecniche di combattimento. L’evento bellico, infatti, si trasforma da una guerra caratterizzata da frequenti battaglie campali a una prevalentemente di manovra, fatta di piccoli scontri, assedi ed imboscate. Sebbene non fosse un innovatore (come è stato sostenuto dai suoi primi biografi), ma un interprete di altissimo livello della scienza militare del suo tempo, Giovanni emerge quale elemento di spicco della generazione di condottieri che portò a compimento il processo di trasformazione dell’arte della guerra, iniziato in Italia nel 1494 con la calata di Carlo VIII di Valois. La campagna del 1521 si conclude con pieno successo per le forze di Leone X e Carlo V d’Asburgo: nel novembre il capitano generale Prospero Colonna occupa Milano riportando al potere Francesco II Sforza, allora alleato degli Asburgo, mentre Parma e Piacenza tornano a far parte dello Stato della Chiesa. Sfortuna vuole che improvvisamente, il 21 dicembre dello stesso anno, Leone X muore e a Giovanni viene a mancare il suo principale referente politico in un momento critico per la sua carriera. Per manifestare il lutto egli fa annerire le insegne che fino ad allora erano bianche e viola, e tale atto lo rende famoso come Giovanni dalle Bande Nere.
Ai primi del 1522 Giovanni viene nominato governatore delle truppe della Repubblica fiorentina, i cui confini risultavano malsicuri dalle conseguenze politiche e militari della repentina eclissi del potere mediceo a Roma. Nel marzo dello stesso anno però Giovanni, spinto dalla scarsa considerazione mostrata nei suoi confronti sia dagli Imperiali sia dai Medici, decide di accettare le generose offerte che gli vengono profferte dal campo francese.
Le modalità dell’improvviso cambio di bandiera di Giovanni finiscono per nuocere gravemente alla sua reputazione di condottiero, provocando tensioni e spaccature tra le sue truppe.
Alla fine del 1523 Giovanni, che militava nel campo imperiale, si distingue con i suoi nella vittoriosa difesa di Milano assediata dall’esercito francese, guidato dall’ammiraglio di Francia Guillaume Gouffier. Nell’aprile 1524 affronta cinquemila fanti svizzeri, la più temuta fanteria dell’epoca, che avevano disceso la Valtellina per andare in soccorso dei francesi; Giovanni li sconfigge a Caprino Bergamasco, costringendo le truppe francesi a lasciare l’Italia.
Terminate le operazioni in Lombardia con un’altra dura sconfitta per la Francia, Giovanni, grazie anche alla preziosa mediazione della moglie Maria Salviati, torna al servizio del ramo principale della famiglia Medici, il cui potere era di nuovo saldo sia a Firenze sia a Roma in seguito alla morte di Adriano VI, che avviene il 14 settembre 1523, e all’elezione del cardinale Giulio de’ Medici a papa col nome di Clemente VII, il 19 novembre 1523. Il nuovo pontefice paga tutti i debiti di Giovanni che però è costretto a passare con i francesi. Nel dicembre 1524 Giovanni, alla testa di duemila fanti e circa duecento cavalleggeri, si unisce all’esercito francese che sta assediando Pavia, dove si erano ritirate le truppe imperiali sotto il comando di Antonio de Leyva. E proprio durante una scaramuccia sotto le mura della città assediata, Giovanni viene ferito gravemente alla gamba destra da un colpo di archibugio; costretto a lasciare il campo per farsi curare, non partecipa alla decisiva battaglia di Pavia (24 febbraio 1525), che si conclude con la spettacolare disfatta dell’esercito francese e la cattura dello stesso re Francesco I. Indebolite dalle perdite sostenute durante l’assedio e prive del loro capo, nel corso della battaglia le truppe di Giovanni vengono travolte e disperse dalla sortita della guarnigione di Pavia.
Il rovinoso crollo delle fortune francesi in Italia seguito alla sconfitta di Pavia e la minaccia dell’affermarsi dell’egemonia asburgica sulla penisola provocano la formazione della Lega antimperiale di Cognac, siglata il 22 maggio 1526 tra Francia, il duca di Milano, Venezia, Firenze e il papa, con l’appoggio esterno dell’Inghilterra. Giovanni viene nominato capitano generale della fanteria italiana dell’esercito della Lega, destinato a scacciare gli Imperiali dal Ducato di Milano. Il 20 settembre 1526 i simpatizzanti imperiali Colonna e i loro partigiani penetrano a sorpresa in Roma, obbligando con le armi Clemente VII a ritirarsi dalla Lega per quattro mesi. Per mantenere il proprio comando Giovanni, che era soldato del papa, si trova nuovamente a passare al servizio del Re di Francia. La situazione di sostanziale stallo della guerra in Lombardia seguita alla forzata, seppur momentanea, neutralità di Clemente VII, viene interrotta dalla calata dal Tirolo di 12 mila fanti tedeschi reclutati e guidati da Georg von Frundsberg, che arrivano il 21 novembre a Castiglione delle Stiviere dopo aver superato le difese dei valichi alpini predisposte dall’esercito veneziano. Per impedire il congiungimento dei lanzichenecchi di Frundsberg con le residue forze imperiali comandate dal duca Carlo di Borbone connestabile di Francia, Francesco Maria I Della Rovere, capitano generale della Lega in Italia, decide di seguire il consiglio di Giovanni, lasciando le truppe francesi e svizzere a presidiare il campo fortificato presso Vaprio d’Adda, posto a copertura di Milano, e muovendosi con le truppe più mobili della Lega, cioè la cavalleria e la fanteria italiane, per intercettare i Tedeschi prima che potessero attraversare il Po e rompere così il contatto con le forze della Lega. L’azione delle truppe italiane, guidate personalmente da Giovanni con la consueta aggressività, risulta di particolare efficacia, e sta cominciando a dare i primi risultati quando, il 25 novembre, alla conclusione di uno scontro con la retroguardia dei lanzichenecchi a Governolo (alla confluenza del Mincio nel Po, nel Marchesato di Mantova), Giovanni viene colpito da un colpo di falconetto (un pezzo di artiglieria leggera), che gli fracassa il femore della gamba destra. Trasportato tra molte difficoltà a Mantova, nel palazzo del suo amico e compagno d’armi Luigi Gonzaga, il ritardo nei soccorsi e la gravità della ferita rendono vana l’amputazione dell’arto leso, eseguita dal celebre medico ebreo Mastro Abramo.
Giovanni muore a Mantova nella notte tra il 29 e il 30 novembre 1526, probabilmente in conseguenza di una grave infezione. Sebbene nel corso della sua esistenza avesse raggiunto una certa fama, egli non si era sostanzialmente distinto dagli altri giovani e capaci comandanti della sua generazione, che erano caduti sul campo nel corso della fase più sanguinosa e violenta delle guerre d’Italia prima di poter raggiungere la maturità militare. Giovanni aveva partecipato a una sola grande battaglia (quella della Bicocca), giocando in essa un ruolo abbastanza marginale e militando tra i perdenti. I suoi più grandi successi li aveva ottenuti al comando di alcune centinaia di cavalieri e di una unità di fanteria le cui dimensioni non superavano quelle di un reggimento o, secondo la terminologia militare italiana dell’epoca, di un «colonnello» (termine che indicava sia l’unità, cioè un corpo tra le 1000 e le 3000 unità, sia il suo comandante), raggiungendo il rango di generale solo nel corso della sua ultima campagna.


La Via Appia. Tra Curiosità, Storia e Note amene













giovedì 4 settembre 2014

BUON RIENTRO DALLE VACANZE

a tutti i seniores un augurio di un felice rientro dalle vacanze e dalle licenze. dalla prossima settimana riprenderà l'inserimento dei post su questo blog in concomitanza con la ripresa della attività della Associazione