Atto Costitutivo e Statuto della Associazione

L'Atto Costitutivo, lo Statuto della Associazione, la Scheda di Adesione sono pubblicati sotto la data del 2 febbraio 2013 di questo Blog

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giovedì 31 dicembre 2020

Bilancio 2020

 

www.senioresiasd.blogspot.com

Associazione tra gli ex frequetatori delle Sessioni IASD

Del Centro Alti Studi della Difesa.

Blog della Segreteria della Associazione per comunicazioni ed informazioni.

Spazio esterno del CESVAM - Istituto Nastro Azzurro

per l'Associazionismo accademico

Aperto nel 2008, ha un totale di 23533 visitatori

 al 30 settembre 2018, 24886 all’agosto  2019

 con una media mensile che oscilla tra i 600 e 650 visitatori mensili.

Sono stati pubblicati 281 post.

 Il Bilancio al 31 dicembre registra le stesse medie

Come utenza, dalla Russia vi sono 243 contatti,

dall’Italia 11, dall’Ucraina 6, dagli Usa 4

mentre sull’ordine delle unità sono i contatti

da altri paesi europei.

(info:ricerca.cesvam@istitutonastroazzurro.org)

 

mercoledì 16 dicembre 2020

Riflessione sul Natale

 Il Covit ha permesso di riflettere più attentamente sul significato del Natale. Trasformato negli ultimi anni in un orgia consumistica, con lo scambio frenetico e demenziale di carabattole, con corse disperate verso i cosiddetti luoghi di divertimento, seguito dalle feste di capodanno ove imperativo e divertirsi, ma che per lo più sono ore infernali, quello che si avvicina ci permette di rimanere a riflettere, liberi da tutte le demenzialità consumistiche, con il piacere di chiudere la televisione altra fonte di irrazionalità, spenti i telefonini portatrici di reality di bassa lega, forse riusciremo a passare ore serene. Occorre cambiare, e speriamo presto. come Felice Signoretti suggerisce.

Domine, quando te vidimus esurientem, aut sitientem, aut hospitem, aut nudum, aut infirmum, aut in carcere, et non ministravimus tibi? Tunc respondit illis dicens: Amen dico vobis. Quamdiu non fecistis uni de minoribus his, nec mihi fecistis. MATTHAEUS, 25, 44-45

 

Cambiare si può. La speranza non è una certezza, comporta la coscienza dei pericoli e delle minacce, ma ci fa prendere posizione e lanciare la scommessa. Un cambiamento di paradigma, un processo lungo e difficile che si scontra con le enormi resistenze delle strutture e delle mentalità vigenti. EDGAR MORIN, Cambiamo strada.

 

Occorre prendere sempre posizione nei confronti dei derelitti di una società fondamentalmente ingiusta e volta solo a un falso benessere, che è obbedienza servile alle leggi di un capitalismo spietato. Quella che si impone è una cultura del disimpegno, della discontinuità, dell’oblio, come afferma Bauman. Rifiutiamo radicalmente questa cultura e riappropriamoci dell’autentico messaggio del Vangelo, in cui Cristo si erge contro qualsiasi forma di potere, soprattutto quello di scribi e farisei, che si avvalgono delle leggi religiose per affermare la propria ricchezza e la propria superiorità contro i poveri e i diseredati. E la Chiesa sia appunto la forza dei poveri, degli umili, degli affamati, degli abbandonati, dei respinti. Questa è la Chiesa di quel bambino nato in una capanna.

                                                                  Felice Signoretti

 

 

lunedì 7 dicembre 2020

7 DICEMBRE 1941

 

Pearl Harbor il giorno dell’infamia

 VALENTINA TROGU

Il 7 dicembre del 1941 si compiva uno dei fatti storici più importanti del XX secolo, l’attacco da parte dei Giapponesi alla base americana Pearl Harbor che costò la vita a 2476 uomini. Alle 7.52 di una domenica mattina di 79 anni fa il mondo cambiò e la frattura che da tempo si era creata tra il governo americano e quello giapponese diventò un’enorme falla che risucchiò nel suo vortice le due grandi potenze.

Pearl Harbor ha rappresentato il segnale che il presidente americano Roosevelt stava aspettando per mettere da parte i propositi di neutralità e isolazionismo e lasciarsi coinvolgere nel conflitto europeo per salvaguardare i propri interessi e difendere i confini. Diversi indizi lasciavano supporre un’imminente entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, l’ingente produzione di materiale bellico, la chiamata alle armi in tempo di pace, i cinque miliardi di dollari spesi per rinforzare la Marina, i messaggi intercettati ma Roosevelt continuava a tranquillizzare il popolo statunitense affermando che non avrebbe inviato i soldati a combattere in terre straniere. Questo succedeva durante la campagna elettorale dell’ottobre 1940 ma le cose erano destinate a cambiare dato che nulla fu fatto per cercare di evitare la tragedia che si sarebbe compiuta l’anno successivo. La decisione presa nel 1939 dal presidente americano di spostare la flotta dalla California alle Hawaii per fermare le mire espansionistiche giapponesi era stata vista fin da subito dalla potenza orientale come una minaccia ma l’attacco avvenne ben due anni dopo, tempo sufficiente per far in modo che le provocazioni lanciate da entrambe le parti sfociassero in un attacco catastrofico con la conseguente entrata dell’America nel conflitto mondiale.

Pearl Harbor è stata distrutta, l’America è stata attaccata, il nemico non può vincere e per questo motivo si deve entrare in guerra. E’ una dinamica inappuntabile da vari punti di vista, probabilmente indirizzata dal governo fin dal principio, ma che venne compresa dal popolo americano dopo che Roosevelt definì il 7 dicembre “il giorno dell’infamia” e assicurò dicendo “Non importa quanto tempo occorrerà per riprenderci da questa invasione premeditata, il popolo americano con tutta la sua forza riuscirà ad assicurarsi una vittoria schiacciante”.

Apprendere la notizia della distruzione improvvisa di un’intera flotta destò rabbia e indignazione e cambiò il pensiero degli statunitensi circa la necessità di entrare in guerra; ora la motivazione toccava l’orgoglio delle persone e l’essere americani e, dunque, l’offesa alla patria doveva essere pagata.

Pearl Harbor fu l’inizio della reazione che in molti attendevano, primo tra tutti Churchill, ed è per questo motivo che si fece spazio l’idea comune che se anche ci fosse stata l’occasione il governo americano non avrebbe impedito alla flotta situata alla Hawaii di essere il bersaglio perfetto per l’attacco giapponese.

 

Valentina Trogu   valentinatrogu@libero.it

venerdì 20 novembre 2020

Le porte dell'Asia e le prospettive future

 Maurizio Vezzosi

Duemila militari russi si interpongono tra le forze armene dell'Artsakh e le forze azere: queste ultime hanno riconquistato porzioni consistenti del territorio del Karabakh, rivendicato sin dallo sgretolamento dell'Unione Sovietica (Figura 1). Privi del deterrente della forza d'interposizione russa o di un'alternativa altrettanto consistente, i precedenti accordi mediati tra le parti non erano riusciti in alcun modo a fermare i combattimenti tra le due fazioni, protrattisi per circa un mese e mezzo, al prezzo di oltre cinquemila morti.

I presupposti ideologici della guerra del Karabakh (Figura 2) collimano con i presupposti che hanno innescato - pur avendo ognuna di queste guerre delle specifiche peculiarità - le guerre cecene, la guerra tagica, le guerre d'Abcasia e d'Ossezia, la guerra di Transnistria e la guerra d'Ucraina. Sarebbe infatti assai difficile immaginare ognuna di queste guerre senza l'esasperazione ideologica ed identitaria che ne ha reso possibile la detonazione. Tra le conseguenze del crollo dell'Unione Sovietica si annovera la condizione di incertezza e di conflittualità permanente che interessa gran parte dei confini dell'odierna Federazione Russa e la sua instabile sfera d'influenza post-sovietica (Figura 3).
In Armenia la firma dell'accordo di pace del novembre 2020 viene considerata un tradimento del primo ministro Nikol Pashinian - che si è assunto la piena responsabilità delle implicazioni dell'accordo mediato dalla Federazione Russa - e la ratifica di una disfatta. L'opposizione chiede compatta le dimissioni del governo – da cui si sono già dimessi alcuni ministri -, alcuni invocano addirittura un governo di militari.

Posando forme e misure del proprio intervento, Mosca non ha mancato di fare i propri calcoli, non disdegnando l'indebolimento politico del filo-occidentale Pashinian : tuttavia, senza accordo e senza militari russi nel Karabakh, per l'Armenia la disfatta sarebbe stata verosimilmente totale. Militarmente, la superiorità azera è stata netta, resa tale soprattutto dai sistemi di puntamento elettronico e dai droni di fabbricazione turca e israeliana. Questi ultimi sono stati abbattuti in varie circostanze dai sistemi antidrone della Federazione Russa impiegati a ridosso del confine armeno-turco ma non nel territorio conteso tra Armenia e Azerbaigian.
Oltre a quelle tra Federazione Russa e Turchia, nel conflitto del Karabakh si sono inserite anche le crescenti tensioni tra quest'ultima e la Francia: in ragione di ciò quella dell'Eliseo è apparsa la diplomazia più propensa a dare sostegno, anche militare, all'Armenia. Nella contrapposizione ormai frontale con Parigi il presidente turco Erdogan si è addirittura appellato a tutto il mondo islamico chiedendo di boicottare i prodotti francesi.

Il nuovo congelamento del conflitto del Karabakh ha per il momento scongiurato una guerra caucasica di proporzioni più ampie. Rispetto a questa possibilità il presidente iraniano Hassan Rouhani si è espresso in modo molto netto, sostenendo la necessità di “prestare attenzione a che la guerra tra Armenia e Azerbaigian non si trasformi in una guerra regionale”. In generale, il posizionamento dei paesi ex sovietici orientati all'Alleanza Atlantica è apparso volto al sostegno dell'Azerbaijan ed in sintonia con la politica turca. Malgrado ciò che potrebbe suggerire il retaggio religioso, la Georgia - guardando con sospetto la comunità armena che vive all'interno dei suoi confini - ha espresso una posizione di sostegno all'Azerbaijan, mentre l'Iran - innervosito dalle intese tra Baku e Tel Aviv - seppur con un tentativo di equidistanza tra le parti è apparso come da tempo più vicino a Erevan.
Teheran certamente non apprezza il fatto che Israele abbia un rapporto stretto con un paese confinante, a cui oltretutto l'Iran è legato dal retaggio sciita e da circa venti milioni di cittadini iraniani turcofoni di etnia azeralocalizzati in gran parte nell’area settentrionale del paese.

L'Azerbaijan è un paese-cerniera tra il Caucaso e l'Asia Centrale: tra i sogni nel cassetto di Baku e di Ankara c'è il ricongiungimento del territorio azero sia con la porzione di Karabakh ancora formalmente armena - russa nella sostanza - sia con l'exclave azera del Nakhcivan - stretta tra Armenia, Turchia ed Iran - che Ankara conta di poter a breve rifornire di gas turco, alternativo, almeno in parte, a quello iraniano.
Ricongiungere il proprio territorio con quello azero, senza l'ostacolo armeno, ma soprattutto senza quello russo, metterebbe la Turchia nella condizione di proiettarsi direttamente sul Caspio e di poter egemonizzare con più facilità il centro-Asia postsovietico. Come confermato dall'ambasciatore turkmeno ad Ankara già da tempo esistono progetti per sviluppare corridoi di trasporto volti a facilitare i collegamenti tra la Turchia e l'Asia Centrale, escludendo almeno in parte le rotte che attraversano l'Iran. Turchia e Iran si trovano infatti contrapposte da un'importante competizione commerciale per i mercati dell'area in questione, una regione che Ankara considera prioritaria nella propria strategia. Una strategia ben poco compatibile con il ruolo di Mosca nello spazio post-sovietico meridionale.
Quello del Karabakh è solo l'ultimo dei fronti aperti dalla Turchia. Ankara si trova infatti coinvolta militarmente in numerosi fronti caldi o aree altamente instabili: Mar Egeo (Cipro e isole greche), Libia, Sudan, Siria settentrionale (Figura 4), Iraq settentrionale, Somalia. L'ipertrofia militare del proprio interventismo (Figura 5) potrebbe procurare alla Turchia consistenti problemi sul fronte politico interno. Benché sostenuta economicamente dall'estero – in particolare dal Qatar – la Turchia si trova a fare i conti con una seria crisi economica - per giunta aggravata dagli effetti della pandemia in corso – che ha costretto Ankara a svalutare notevolmente la lira turca e far crescere le proprie riserve di valuta estera e di oro.
Il mito di una Grande Turchia - egemone dall'Adriatico ai deserti della Cina occidentale e padrona del Corno d'Africa - è certamente la narrazione con cui le autorità turche intendono dissimulare il calo del consenso interno e le incertezze che si scorgono all'orizzonte (Figura 6).

Insieme a Grecia e Cipro, la Francia appare il paese dell'Unione Europea più favorevole ad imporre sanzioni alla Turchia. Sostanzialmente simile, sostenuta dalla cancelliera Angela Merkel, la posizione della Germania. Conscio di questo rischio - aggravato dalla vulnerabilità dell'economia turca - Erdogan ha cercato di stemperare gli animi, evocando la chimera di una Turchia membro dell'Unione Europea e sospendendo le esplorazioni geologiche in acque greche alla vigilia del Consiglio d'Europa.
Una possibile affermazione dell'egemonia turca sul Mediterraneo orientale, su larghi settori del Vicino Oriente, del Caucaso e dell'Asia Centrale, assumerebbe un significato antitetico agli interessi cinesi, russi, iraniani: ma contrapposto anche agli interessi dell'Europa mediterranea. Non a caso Zbigniew Brzezinski, mente raffinata della politica estera statunitense, attribuiva una grande importanza al ruolo turco nel Vicino Oriente cosi come nel Caucaso e nell'Asia Centrale postsovietici, definendo gli interessi di Ankara “coerenti” con quelli degli Stati Uniti.
Analoga sembra essere la concezione della Turchia da parte della Gran Bretagna post-Brexit: a pochi giorni dall'annuncio di un consistente aumento delle proprie spese militari, la Gran Bretagna ha organizzato insieme ad Ankara le prime esercitazioni aeree congiunte della propria storia ed è prossima a rendere operativo un regime doganale di libero scambio con quest'ultima. Appena qualche giorno prima, il neodirettore dell'MI6 Richard Moore – già ambasciatore britannico ad Ankara - aveva fatto visita al consigliere di Erdogan İbrahim Kalin “per sviluppare la cooperazione tra Gran Bretagna e Turchia”. In sostanza anche Londra sembra guardare ad Ankara come un valido strumento in chiave antirussa e anticinese.

Se Cina e Turchia sono certamente legate da importanti accordi economici, è altrettanto vero che la proiezione dei rispettivi interessi nell'area centroasiatica appare difficilmente conciliabile. Qualcosa di analogo si può dire anche a proposito del rapporto tra la Federazione Russa e la Turchia, legate da importanti vincoli economici ed energetici, ma già ai ferri corti in Libia, in Siria, nel Mediterraneo orientale e nel Caucaso. Nonostante i legami economici, Mosca rappresenta per la Turchia il principale antagonista della propria strategia militare, praticamente in tutti gli scenari che questa contempla.
La presenza – accertata – di centinaia di combattenti jihadisti sul lato azero del fronte del Karabakh - insieme a quella di un certo numero di forze speciali dell'esercito turco - è valsa alla Turchia le accuse da parte dell'Armenia, della stessa Siria e l'irritazione della Federazione Russa. A rappresentare una minaccia per Mosca è anzitutto l'ideologia delle formazioni jihadiste, tanto più a pochi chilometri dalle proprie frontiere. “Non possiamo non essere preoccupati del fatto che il Caucaso meridionale possa diventare una nuova rampa di lancio per le organizzazioni terroristiche internazionali. [Dal Karabakh] i terroristi potrebbero muoversi in secondo momento nei paesi limitrofi ad Armenia ed Azerbaijan, incluso la Federazione Russa.” ha commentato il direttore dell'intelligence russa per l'estero (SVR) Sergej Naryshkin,

Nel frattempo si attende che Joe Biden riveli al mondo le nuove mosse degli Stati Uniti verso l'Eurasia. Intervistato lo scorso gennaio 2020 dal New York Times, Joe Biden definiva Erdogan “un autocrate”, affermando la necessità di sostenere l'opposizione turca-curda e di “un approccio molto diverso” che faccia “pagare un prezzo” ad Erdogan. Nel 2014, allora vicepresidente degli Stati Uniti, si era scusato telefonicamente proprio con Erdogan, per aver affermato nel corso di una conferenza che la Turchia avesse sostenuto Daesh o altri gruppi di ispirazione jihadista coinvolti nella guerra di Siria.
La coppia Biden-Harris potrebbe rendersi protagonista di una revisione della strategia euroasiatica degli Stati Uniti: ciò, almeno potenzialmente, potrebbe tradursi in una maggiore aggressività antirussa e anticinese. Se così fosse, le ricadute sui fragili equilibri caucasici e dello spazio continentale potrebbero essere tutt'altro che auspicabili.

martedì 20 ottobre 2020

Roma: Musei Capitolini. Il galata morente

 


Galata Morente (Replica marmorea da originale bronzeo) (Musei Capitolini Roma)

 

La statua è testimonianza di come i Romani replicando gli originali rendono omaggio a chi sa morire per la patria: il Galata infatti ha perso una battaglia ma non la dignità.

Vediamone la storia:

Nel III sec. A. C.   Attalo I di Pergamo (v. nota 1) si proclama re dopo  la grande vittoria riportata  nel 229-228 sulla tribù celtica dei barbari Galati, invasori dell’ Asia Minore. In tale occasione alla sua corte si costituisce una scuola di scultura il cui principale scopo è quello di glorificare le imprese degli Attalidi.

Plinio il Vecchio cita i nomi degli artisti di maggior grido (Naturalis Historia XXIV, 84) ai quali vanno aggiunti quelli incisi sulle basi di supporto alle statue, venute alla luce durante gli scavi del tempio di Atena Nikephòros, protettrice della città e dispensatrice di vittoria): Epigono, Antigono,Piromaco,Stratonico ecc.ecc.

Riconducibile al grande monumento commemorativo della suddetta vittoria, il tempio di Zeus, è la copia romana in marmo asiatico, del Galata morente. Essa è proveniente dalla villa Ludovisi a Roma, edificata sugli Horti antichi di Cesare in parte coincidenti con l’area degli Horti di Sallustio. Alcuni studiosi ritengono che l’ opera scultorea sia stata commissionata da Giulio Cesare stesso per celebrare la sua vittoria sui Galli, spostandone  di alcuni secoli, con tale ipotesi, la data  di esecuzione ( dal III sec al I sec a. c.)

Descrizione: Il Gallo è rappresentato caduto al suolo per una grave ferita al fianco destro, riportata durante il combattimento contro le truppe di Attalo I.

Completamente nudo egli possiede tutti quei caratteri etnici di cui ci informa Diodoro Siculo (Bibliotheca Histhorica V,28): la figura alta , muscolosa; i capelli corti ed ispidi sono divisi in dritte ciocche rese rigide dall’ uso del sapone; i baffi lunghi non sono accompagnati dalla barba. Intorno al collo si nota un “torquis”, collana a tortiglione tipica della nobiltà celtica.

Questo guerriero, incitando i suoi commilitoni, suonava la tromba che ora giace spezzata; adesso, mortalmente colpito, è caduto a terra sul suo scudo ovale: la fronte corrugata, la bocca leggermente socchiusa e lo sguardo fisso al suolo denotano il tentativo di trattenere la sofferenza, di controllare il dolore. Mentre i tratti del volto sembrano irrigidirsi nella morte imminente, egli tuttavia ancora si sforza di star ritto puntellandosi con il braccio, ben deciso ad affrontare la morte con grande dignità, rivelando la sua natura indomita resa qui con sorprendente verismo.   

 

Note: 1) Attalo I Sotere (sec. III-II a.c.) re dal 241 al 197 a Pergamo, riportò una grande vittoria sui Galati nel 229-228; ma fu poi ripetutamente sconfitto dai Seleucidi perdendo vasti territori.  Diede inizio alla politica filoromana della dinastia e fondò la biblioteca di Pergamo.

2) Pergamo: città dell’Asia Minore non lontana dal Mar Egeo, 100 Km. Circa a nord di Smirne

3) Galati: così i Greci chiamavano i celti in generale (detti Galli dai Romani) e più specificamente le tribù stanziate nella Galazia ( regione dell’ altopiano anatolico comprendente la steppa centrale e la catena del Tauro)

sabato 10 ottobre 2020

Antonio Trogu Conferenza di Yalta 4-11 Febbraio 1945

 



Dal 4 all’11 febbraio 1945,  nell'ultimo anno della Seconda guerra mondiale, Roosevelt, Churchill e Stalin si incontrarono a Yalta in Crimea per discutere, in base al principio delle cosiddette sfere d'influenza, i piani per la conclusione della guerra contro le potenze dell’Asse, l’occupazione e la spartizione della Germania e il successivo assetto dell’Europa e dell’Estremo Oriente.

Prima di raggiungere la Crimea il Presidente Roosevelt si incontrò a Malta con il Primo ministro britannico Churchill e lì trovarono il Consiglio congiunto dei Capi di Stato Maggiore che preparavano, già da tre giorni, l’operazione per portare le forze anglo-americane nel cuore della Germania.

La conferenza di Yalta viene descritta come l'evento epocale in cui i tre leader mondiali si spartirono l'Europa in sfere d'influenza, benché fosse già chiaro, sulla base dell'andamento militare del conflitto, che l'Unione Sovietica sarebbe stata potenza dominante nell'Europa Orientale e Centrale. Gran parte delle decisioni prese a Yalta ebbero profonde ripercussioni sulla storia mondiale fino alla caduta dell'Unione Sovietica nel 1991 e per quanto, nei mesi immediatamente successivi, sovietici ed anglo-americani proseguissero con successo la loro lotta comune contro la Germania nazista e l'Impero giapponese, la conferenza di Yalta e’ stata considerata il preludio della Guerra fredda.

L’iniziale linea seguita durante la Conferenza lascia intendere che i tre leader avessero una strategia comune da perseguire. In realtà, quella che sembra essere una strada comune verso una ipotetica pace lascia ben presto spazio al percorso verso la realizzazione delle reali intenzioni dei tre uomini, differenti se non divergenti le une dalle altre. Il motivo alla base di questa separazione di obiettivi è da ricercare nell’analisi dei fenomeni sociali interni alle tre grandi potenze. La pace sembrava essere l’obiettivo comune di Roosevelt, Churchill e Stalin durante la Conferenza di Yalta, ma quali erano le reali spinte che subivano i tre leader e che li hanno portati a nuovi scontri? E’ chiaro che ogni protagonista della conferenza si è mosso come una pedina su una scacchiera per accontentare da una parte l’opinione pubblica internazionale e dall’altra le esigenze delle strategie politiche e militari del proprio Paese.

Nel corso della conferenza furono previsti lo smembramento della Germania in Stati indipendenti e lo spostamento ad Ovest delle frontiere della Polonia (furono tuttavia definiti solo i confini orientali, lungo la linea Curzon[1]), e si toccarono i problemi della frontiera italiana con l’Austria e la Iugoslavia; l’URSS si impegnò a entrare in guerra contro il Giappone, dopo la sconfitta della Germania, in cambio del possesso delle isole Curili e di tutta l’isola di Sachalin.

Da sottolineare che le sorti della Germania erano oramai inequivocabilmente segnate; il Terzo Reich non solo non aveva più alcuna possibilità di modificare l’andamento del conflitto, ma non poteva sottrarsi in alcun modo ad una resa totale e incondizionata. Nei mesi precedenti c’erano stati contatti fra rappresentanti tedeschi ed agenti sovietici in Svezia, e fra i primi e gli angloamericani per un armistizio; probabilmente alcune di queste iniziative erano avvenute ad opera di alti gerarchi nazisti ma senza l’intervento esplicito di Hitler, e in ogni caso non potevano dare alcun risultato perché troppo grave sarebbe stato di fronte all’opinione pubblica internazionale una pace separata a danno delle altre potenze. 

In particolare un argomento che venne discusso anche al di fuori delle riunioni ufficiali riguardò  cosa fare della Germania e come trattarla alla fine della guerra. Stalin riteneva fosse necessario rendere impotente il militarismo tedesco per evitare quanto accaduto nelle due guerre mondiali uccidendo se necessario 50000 ufficiali tedeschi.  Churchill espresse il suo disaccordo affermando la necessità di tenere conto del diritto internazionale colpendo solo i soggetti ritenuti criminali di guerra ma si mostrò accondiscendente al fatto che l’Europa orientale fosse interamente sotto il controllo della Russia.

L’URSS ottenne quindi il riconoscimento dei suoi diritti, Romania e Bulgaria passarono di fatto sotto il controllo sovietico, la Polonia veniva di fatto inserita nel blocco sovietico dove passarono anche Cecoslovacchia e Ungheria.

La Conferenza di Yalta terminò l’11 febbraio del 1945. Roosevelt tornò a casa presentando l’incontro al Congresso come un grande successo e una grande vittoria della pace ma morì prima di partecipare alla conferenza successiva, quella di Potsdam. Churchill era invece presente, ma interruppe i colloqui per rientrare nel Regno Unito e accogliere i risultati elettorali: vinsero i laburisti e a Potsdam tornò il nuovo primo ministro Clement Attlee. Alla chiusura della conferenza il britannico «Time» scrisse: «Tutti i dubbi che potevano sussistere sulla possibilità che i Tre Grandi fossero in grado di cooperare in pace come avevano cooperato in guerra sono spazzati via per sempre».

La conferenza di Yalta quindi stabilì la spartizione del continente europeo e del mondo intero in sfere d’influenza, ma di certo si ebbero delle ambiguità che nel futuro non tardarono a manifestarsi. A suo modo Stalin aveva saputo dare prova di una certa moderazione, in particolare sulla questione greca e jugoslava, ma anche per aver consigliato i partiti comunisti italiano e francese di astenersi da tentativi insurrezionali. Tuttavia per i Sovietici gli accordi con le potenze occidentali erano all’insegna «del do ut des», mentre per gli Americani il rispetto della volontà dei popoli costituiva un principio inalienabile che non poteva costituire oggetto di scambio.

Il partito repubblicano americano dell'epoca, per vocazione anti-rooseveltiano e in opposizione al Presidente degli Stati Uniti, sostenne che Franklin Delano Roosevelt avesse presenziato al vertice già stanco e malato, e quindi si fosse lasciato convincere da Stalin a cedergli la metà dell'Europa.

L’entusiasmo suscitato dalla conferenza fu di brevissima durata infatti nelle settimane successive si ebbero una serie di episodi gravissimi. Il Presidente americano Truman ricorda nelle sue memorie che in Bulgaria subito dopo la conclusione degli storici accordi si ebbe una ondata di arresti contro l’opposizione, mentre in Romania i Russi dirigevano la Commissione di Controllo alleata, senza consultare i membri inglese e americano. Il governo era un governo di minoranza, dominato dal partito comunista che non rappresentava nemmeno il 10% della popolazione romena e la vasta maggioranza del popolo romeno, non era soddisfatta dal governo, né di qualsiasi altra forma di comunismo. Dal lato economico, la Romania veniva strettamente legata allo Stato russo, tramite pagamenti in conto riparazioni, con il trasferimento di proprietà che i Russi dichiaravano essere state dei Tedeschi e con la requisizione delle attrezzature industriali come trofei di guerra. Per di più, la Romania veniva quasi del tutto tagliata fuori dai rapporti commerciali con le altre nazioni, e questo la costringeva a dipendere sempre più dalla Russia».

In Polonia l’esercito sovietico riuscì con l’inganno ad arrestare tutti i principali comandanti dell’Armia Krajova, la principale formazione polacca anti-nazista. In Cecoslovacchia e in Ungheria la situazione per un certo periodo rimase più tranquilla, mentre in Jugoslavia i titini con facilità ottennero il potere (qui con il consenso popolare) mentre un altro gravissimo episodio avvenne all’indomani della capitolazione delle truppe tedesche in Italia, l’occupazione di Trieste e Pola da parte dell’esercito jugoslavo.

Le conseguenze dell'occupazione jugoslava di Trieste costituiscono l'ultimo doloroso atto di una vicenda politica e umana che vede gli italiani delle regioni orientali pagare un alto prezzo per la sconfitta dell'Italia. Trieste, Gorizia, Fiume, l'Istria, Zara, sono l'obiettivo privilegiato della vittoriosa resistenza jugoslava, che non esclude nemmeno la possibilità di conquistarsi anche la cosiddetta "Slovenia veneta", cioè parte del Friuli, e magari portare i confini della Federazione al Tagliamento.

Il comunismo jugoslavo motiva il suo espansionismo con lo schema ereditato dal tradizionale nazional- sciovinismo sloveno e croato. La città, il borghese, il proprietario terriero, vengono contrapposti alla campagna, al proletario sloveno contadino, "negato" nella sua identità nazionale dal secolare "imperialismo" di Venezia prima e della ventennale dittatura fascista poi. Purtroppo l’Italia non aveva nessun potere contrattuale ed ormai neanche una politica militare .

Prima dell’apertura della successiva conferenza di Potsdam, il governo sovietico stabilì senza consultazioni che i territori tedeschi a Est dei fiumi Oder e Neisse (il corso più occidentale fra i due fiumi che portavano questo nome) venissero sottoposti all’amministrazione polacca. Ormai il mondo si avvicinava a tappe forzate verso la guerra fredda.

Subito dopo Yalta gli Stati Uniti si disinteressano dell’Europa che sembra abbandonata a se stessa ed e’ in uno stato di debolezza politica e militare dovute alla gravità della situazione economica e della miseria sociale. Da considerare poi che in tutta l’Europa occidentale i partiti comunisti assunsero una certa importanza. Si venne dunque a formare un nuovo assetto politico europeo nel quale l’Unione Sovietica si era ritagliata la parte del leone , annettendo la Carelia, i Paesi baltici, la Polonia orientale, la Bucovina e la Bessarabia recuperando all’incirca i confini dell’Impero degli zar alla fine del 1913.

La parte più importante degli accordi di Yalta fu comunque la Dichiarazione sull’Europa Liberata,[2] con la quale stabilirono principi importantissimi per la vita democratica del continente. In essa venne definita una politica comune al fine di «aiutare i popoli d’Europa liberi dalla dominazione della Germania nazista, e i popoli degli Stati satelliti dell’Asse, a risolvere con mezzi democratici i loro problemi politici ed economici più importanti»; il futuro del continente sarebbe stato realizzato in base ai principi della Carta Atlantica: «Diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo sotto la quale vogliono vivere – restaurazione dei diritti sovrani e di autogoverno in favore dei popoli che ne sono stati privati dalle potenze aggreditrici»


Nella conferenza furono inoltre sviluppati i lavori, gia’ avviati a Dumbarton Oaks, in merito alla Carta delle Nazioni Unite (in particolare fu trovato un accordo sulla procedura di voto nel Consiglio di sicurezza) e si stabilì che la Conferenza delle Nazioni Unite sarebbe stata convocata a San Francisco il 25 aprile 1945.

In conclusione si può affermare come dato  certo che la conferenza di Yalta fu allora e rimase negli anni assai controversa. Le domande che possiamo ora porci riguardano la possibilità che all’ultimo momento le tre potenze avrebbero potuto collaborare; se fu colpa degli occidentali se ciò divenne impossibile e se effettivamente segnò l’inizio della “Guerra Fredda”.

 

 

 

 



[1] confine ipotetico e non accettato da nessuno, tracciato nel 1920 da Lord Curzon per porre fine alla guerra polacco sovietica

[2] Dipartimento di Stato Americano Testo degli accordi raggiunti alla Conferenza di Yalta Washington, 24 Marzo 1945

 

lunedì 21 settembre 2020

L'apertura e la collaborazione con il mondo universitario


Blog di riferimento delle attività del gruppo “Studenti e Cultori”
 della materia che si è aggregato per studiare le tematiche inerenti
vari percorsi di formazione professionale.
Il Gruppo nasce nel 2009 e dopo
L’aprile 2013 si è aperto alla ricerca ed
All’approfondimento universitario e post dottorale
Sussidio didattico a master attivati e Corsi di Formazione.
Spazio esterno del CESVAM per le relazione esterne
Aperto nel 2011, ha un totale di 27072 visitatori,
30678 all’agosto 2019
 con una media mensile che oscilla tra i 1100 e 1200 visitatori mensili.
Sono stati pubblicati 348 post.
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dall’Italia 64, Ucraina 4, Usa 4 
mentre sull’ordine delle unità sono i contatti
da altri paesi.
(info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)

www.studentiecultori.blogspot.


lunedì 14 settembre 2020

Le pubblicazioni delle collane in essere



www.storiainlaboratorio.blogspot.com
Il Blog è stato attivato come espressione del
Progetto “Storia in laboratorio” rivolto agli studenti delle classi medie e superiori.
E’ espressione delle pubblicazioni
Raccolte nella “Collana Storia in Laboratorio”
E’ spazio esterno delle pubblicazioni del CESVAM – Istituto del Nastro Azzurro”
Aperto nel 2011, ha un totale di 26446 visitatori,
 con una media mensile che oscilla tra i 400 e 500 visitatori mensili.
18105 all’agosto 2019
Sono stati pubblicati 252 post.
Come utenza, dalla Russia vi sono 272 contatti,
dagli Emirati Arabi 148, dagli USA 27 dall’Italia 9, 
mentre sull’ordine delle unità sono i contatti
da altri paesi.
(info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)


lunedì 7 settembre 2020

La creazione dei granai della memoria


www.biblioteche.fondocoltrinari.blogspot.com
Questo blog ha lo scopo di divulgare le attività di apporto
 e creazione di volumi presso Biblioteche appositamente individuate
a cominciare dalla Biblioteca L. Radoni di Castelferretti (Ancona),
 ed altre che si sono create con fondi specialistici
creati in Biblioteche del territori ad essa collegate
 ed indicare la crescita del patrimonio librario
 del Fondo Coltrinari presso le Biblioteca.
Rappresenta il punto esterno della attività della
 Emeroteca e dell’Archivio-Biblioteca del CESVAM.
Offre lo spazio per la sensibilizzazione
della conservazione del Patrimonio librario
 che il Nastro Azzurro detiene, soprattutto in merito
 alle Pubblicazioni relative ai Decorati relative alle varie Provincie
Aperto nel 2008 ha un totale di 14280 visitatori,
15343 all’agosto 2019
con una media mensile di 400/500 contatti mensili.
Sono stati pubblicati 241 post, mentre
I paesi di origine dei visitatori vede
un sorprendente 366 da “paesi sconosciuti,
 seguito dalla Russia con 32 e poi altri sull’ordine delle unità
(info: centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)

www.biblioteche.fondocoltrinari.blogspot.com

martedì 25 agosto 2020

Uno sguardo sul mondo dell'associazionismo militare attraverso la loro presenza



Già pagina dedicata a tutti coloro che negli anni 2005 e 2006 hanno partecipato alla 57 sessione IASD è stata sostituita con il più comodo Whats Up e Face book. E' quindi diventata la pagina dedicata all'Associazionismo Militare
Rappresenta lo spazio in cui sono tratti i temi delle Associazioni d’Arma,
 delle Associazioni Combattentistiche, nonché le attività coordinate da Assoarma e dalla Confederazione fra le Associazioni combattentistiche;
 in particolare la vetrina della Emeroteca della Pubblicistica Militare del CESVAM - Centro Studi sul Valore Militare dell'Istituto del Nastro Azzurro
Rappresenta anche l’area di opportunità per i contatti che il CESVAM
Ha con le Federazioni Provinciali del Nastro Azzurro
Aperto dal 2008, ha avuto fino al settembre 2018  19079 visitatori
19088 nell’agosto 2019
Con una media tra 200 e 300 visitatori mensili.
Sono stati pubblicati 371 post.
(info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)








www. unucispoleto.blogspot.com
La Sezione UNUCI (Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d'Italia) di Spoleto, Presidente il gen. Antonio Cuozzo, succeduto al gen.Franco Fuduli dopo la sua tragica scomparsa, dal 2008 mette a disposizione questo blog per informare delle attività di approfondimento, divulgazione e studio che la Sezione mette in essere per far conoscere la cultura militare. Su questa base si è innestata  dal 2014 l’attività del CESVAM, rappresentano un punto di incontro ed uno spazio divulgativo fra l’Istituto del Nastro Azzurro e l’UNUCI.
Una collaborazione che si ritiene importante in quanto l’UNUCI, al pari dell’Istituto del nastro Azzurro non è una associazione ne una confederazione, ed ha finalità precise in merito all’addestramento ed alla preparazione militare
Aperto nel 2008, ha un totale di 16759 visitatori al 30 settembre 2018,
18513 nell’agosto 2019
 con una media mensile che oscilla tra i 300 e 400 visitatori mensili.
Sono stati pubblicati 205 post.
Come utenza, sorprende che dalla Russia vi sono 72 contatti,
mentre sull’ordine delle unità sono i contatti dall’ Italia, Francia ed altri paesi europei.
(info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)