Atto Costitutivo e Statuto della Associazione

L'Atto Costitutivo, lo Statuto della Associazione, la Scheda di Adesione sono pubblicati sotto la data del 2 febbraio 2013 di questo Blog

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mercoledì 10 settembre 2014

Giovanni dalle Bande Nere




Ricerca a cura di Luigi Marsibilio

Giovanni di Giovanni de’ MEDICI,  meglio noto come Giovanni dalle Bande Nere, nasce il 6 aprile 1498 a Forlì. La madre, Caterina Sforza, la signora guerriera di Imola e Forlì, era una delle donne più famose del Rinascimento, che si era strenuamente difesa da Cesare Borgia nella sua rocca forlivese. Il padre, Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, detto il Popolano, era giunto alla corte di Caterina Sforza due anni prima come ambasciatore della Repubblica fiorentina.
Il pargolo viene battezzato con il nome di Ludovico, in onore dello zio Ludovico il Moro, ma dopo l’improvvisa morte del padre avvenuta nel settembre del 1498, la madre gli cambia il nome in Giovanni. Questi passa la propria infanzia a Firenze, nel convento di S. Vincenzo Annalena poiché la madre era prigioniera di Cesare Borgia. Nel luglio del 1501 Caterina, costretta dai Borgia a rinunciare a ogni pretesa su Imola e Forlì, raggiunge il figlio a Firenze e si dedica alla sua educazione, sforzandosi di trasmettergli i valori della nobiltà militare italiana alla quale ella apparteneva. Caterina muore il 28 maggio 1509 avendo poco prima del decesso affidato il figlio alla tutela di Jacopo Salviati, membro di una delle famiglie più antiche e potenti di Firenze, e di sua moglie Lucrezia de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico.
Fin dall’infanzia Giovanni dimostra un temperamento violento e insofferente all’autorità, solo in parte frenato dalla forte figura materna. Da adolescente prevale il suo carattere rissoso e dissoluto, amante delle armi, del gioco e delle donne, e proprio a causa delle sue violente intemperanze è costretto per lunghi periodi lontano da Firenze, nelle sue proprietà di Castello e di Trebbio. Grazie alla intercessione di Jacopo Salviati le intemperanze di Giovanni vengono rimediate ma, nel 1511, non riesce ad evitargli il bando da Firenze, per l’uccisione di un suo coetaneo in una lite tra bande di giovani. Il bando viene poi ritirato l’anno successivo.



Nel 1513 Jacopo Salviati viene nominato ambasciatore a Roma, Giovanni lo segue e grazie sempre all’intercessione del suo tutore, viene iscritto nelle milizie pontificie presso papa Leone X, fratello di Lucrezia de’ Medici. Giovanni vive quasi per intero la sua breve ma intensa vita adulta combattendo al servizio del blocco di potere che si era creato tra l’élite finanziaria fiorentina e i papi della famiglia Medici, Leone X e Clemente VII. Il suo battesimo del fuoco e il suo primo vero comando (una compagnia di cavalleria) avviene nel marzo del 1516 durante la guerra contro Urbino (1516-17), voluta da Leone X per spogliare il duca di Urbino Francesco Maria I della Rovere del suo Stato e del titolo per darli al proprio nipote, Lorenzo di Piero de’ Medici.
Nel 1517 Giovanni sposa la figlia di Jacopo Salviati e di Lucrezia de’ Medici, Maria e da questa unione nasce, il 15 giugno 1519, il loro unico figlio, Cosimo, destinato un giorno a diventare Granduca di Firenze. Tra il 1519 e il 1520, Leone X si serve di Giovanni e delle sue truppe per riaffermare con le armi l’autorità papale su alcuni degli elementi più riottosi della nobiltà dello Stato della Chiesa. Risalgono a questo periodo la maggior parte degli episodi di violenza, duelli e risse sia a Firenze sia a Roma, in virtù delle quali Giovanni sarebbe poi rimasto famoso. Nel 1521 partecipa all’invasione del Ducato di Milano, allora sotto il controllo della Francia, congiungendosi alle forze imperiali e papali comandate da Prospero Colonna.
La campagna del 1521 rappresenta il primo assaggio di guerra vera per Giovanni che fino a quel momento aveva partecipato a conflitti di dimensioni e portata limitate. L’occasione costituisce anche il suo primo diretto contatto con il frenetico processo di sperimentazione tattica che caratterizza la fase finale delle guerre d’Italia. Nel corso della sua breve carriera, Giovanni si distingue per l’abilità e l’aggressività con le quali riesce a sfruttare le potenzialità della cavalleria leggera (sia lancieri sia archibugieri a cavallo) e della fanteria tattica, composta da insiemi organici di picchieri e tiratori, in un periodo di transizione delle tecniche di combattimento. L’evento bellico, infatti, si trasforma da una guerra caratterizzata da frequenti battaglie campali a una prevalentemente di manovra, fatta di piccoli scontri, assedi ed imboscate. Sebbene non fosse un innovatore (come è stato sostenuto dai suoi primi biografi), ma un interprete di altissimo livello della scienza militare del suo tempo, Giovanni emerge quale elemento di spicco della generazione di condottieri che portò a compimento il processo di trasformazione dell’arte della guerra, iniziato in Italia nel 1494 con la calata di Carlo VIII di Valois. La campagna del 1521 si conclude con pieno successo per le forze di Leone X e Carlo V d’Asburgo: nel novembre il capitano generale Prospero Colonna occupa Milano riportando al potere Francesco II Sforza, allora alleato degli Asburgo, mentre Parma e Piacenza tornano a far parte dello Stato della Chiesa. Sfortuna vuole che improvvisamente, il 21 dicembre dello stesso anno, Leone X muore e a Giovanni viene a mancare il suo principale referente politico in un momento critico per la sua carriera. Per manifestare il lutto egli fa annerire le insegne che fino ad allora erano bianche e viola, e tale atto lo rende famoso come Giovanni dalle Bande Nere.
Ai primi del 1522 Giovanni viene nominato governatore delle truppe della Repubblica fiorentina, i cui confini risultavano malsicuri dalle conseguenze politiche e militari della repentina eclissi del potere mediceo a Roma. Nel marzo dello stesso anno però Giovanni, spinto dalla scarsa considerazione mostrata nei suoi confronti sia dagli Imperiali sia dai Medici, decide di accettare le generose offerte che gli vengono profferte dal campo francese.
Le modalità dell’improvviso cambio di bandiera di Giovanni finiscono per nuocere gravemente alla sua reputazione di condottiero, provocando tensioni e spaccature tra le sue truppe.
Alla fine del 1523 Giovanni, che militava nel campo imperiale, si distingue con i suoi nella vittoriosa difesa di Milano assediata dall’esercito francese, guidato dall’ammiraglio di Francia Guillaume Gouffier. Nell’aprile 1524 affronta cinquemila fanti svizzeri, la più temuta fanteria dell’epoca, che avevano disceso la Valtellina per andare in soccorso dei francesi; Giovanni li sconfigge a Caprino Bergamasco, costringendo le truppe francesi a lasciare l’Italia.
Terminate le operazioni in Lombardia con un’altra dura sconfitta per la Francia, Giovanni, grazie anche alla preziosa mediazione della moglie Maria Salviati, torna al servizio del ramo principale della famiglia Medici, il cui potere era di nuovo saldo sia a Firenze sia a Roma in seguito alla morte di Adriano VI, che avviene il 14 settembre 1523, e all’elezione del cardinale Giulio de’ Medici a papa col nome di Clemente VII, il 19 novembre 1523. Il nuovo pontefice paga tutti i debiti di Giovanni che però è costretto a passare con i francesi. Nel dicembre 1524 Giovanni, alla testa di duemila fanti e circa duecento cavalleggeri, si unisce all’esercito francese che sta assediando Pavia, dove si erano ritirate le truppe imperiali sotto il comando di Antonio de Leyva. E proprio durante una scaramuccia sotto le mura della città assediata, Giovanni viene ferito gravemente alla gamba destra da un colpo di archibugio; costretto a lasciare il campo per farsi curare, non partecipa alla decisiva battaglia di Pavia (24 febbraio 1525), che si conclude con la spettacolare disfatta dell’esercito francese e la cattura dello stesso re Francesco I. Indebolite dalle perdite sostenute durante l’assedio e prive del loro capo, nel corso della battaglia le truppe di Giovanni vengono travolte e disperse dalla sortita della guarnigione di Pavia.
Il rovinoso crollo delle fortune francesi in Italia seguito alla sconfitta di Pavia e la minaccia dell’affermarsi dell’egemonia asburgica sulla penisola provocano la formazione della Lega antimperiale di Cognac, siglata il 22 maggio 1526 tra Francia, il duca di Milano, Venezia, Firenze e il papa, con l’appoggio esterno dell’Inghilterra. Giovanni viene nominato capitano generale della fanteria italiana dell’esercito della Lega, destinato a scacciare gli Imperiali dal Ducato di Milano. Il 20 settembre 1526 i simpatizzanti imperiali Colonna e i loro partigiani penetrano a sorpresa in Roma, obbligando con le armi Clemente VII a ritirarsi dalla Lega per quattro mesi. Per mantenere il proprio comando Giovanni, che era soldato del papa, si trova nuovamente a passare al servizio del Re di Francia. La situazione di sostanziale stallo della guerra in Lombardia seguita alla forzata, seppur momentanea, neutralità di Clemente VII, viene interrotta dalla calata dal Tirolo di 12 mila fanti tedeschi reclutati e guidati da Georg von Frundsberg, che arrivano il 21 novembre a Castiglione delle Stiviere dopo aver superato le difese dei valichi alpini predisposte dall’esercito veneziano. Per impedire il congiungimento dei lanzichenecchi di Frundsberg con le residue forze imperiali comandate dal duca Carlo di Borbone connestabile di Francia, Francesco Maria I Della Rovere, capitano generale della Lega in Italia, decide di seguire il consiglio di Giovanni, lasciando le truppe francesi e svizzere a presidiare il campo fortificato presso Vaprio d’Adda, posto a copertura di Milano, e muovendosi con le truppe più mobili della Lega, cioè la cavalleria e la fanteria italiane, per intercettare i Tedeschi prima che potessero attraversare il Po e rompere così il contatto con le forze della Lega. L’azione delle truppe italiane, guidate personalmente da Giovanni con la consueta aggressività, risulta di particolare efficacia, e sta cominciando a dare i primi risultati quando, il 25 novembre, alla conclusione di uno scontro con la retroguardia dei lanzichenecchi a Governolo (alla confluenza del Mincio nel Po, nel Marchesato di Mantova), Giovanni viene colpito da un colpo di falconetto (un pezzo di artiglieria leggera), che gli fracassa il femore della gamba destra. Trasportato tra molte difficoltà a Mantova, nel palazzo del suo amico e compagno d’armi Luigi Gonzaga, il ritardo nei soccorsi e la gravità della ferita rendono vana l’amputazione dell’arto leso, eseguita dal celebre medico ebreo Mastro Abramo.
Giovanni muore a Mantova nella notte tra il 29 e il 30 novembre 1526, probabilmente in conseguenza di una grave infezione. Sebbene nel corso della sua esistenza avesse raggiunto una certa fama, egli non si era sostanzialmente distinto dagli altri giovani e capaci comandanti della sua generazione, che erano caduti sul campo nel corso della fase più sanguinosa e violenta delle guerre d’Italia prima di poter raggiungere la maturità militare. Giovanni aveva partecipato a una sola grande battaglia (quella della Bicocca), giocando in essa un ruolo abbastanza marginale e militando tra i perdenti. I suoi più grandi successi li aveva ottenuti al comando di alcune centinaia di cavalieri e di una unità di fanteria le cui dimensioni non superavano quelle di un reggimento o, secondo la terminologia militare italiana dell’epoca, di un «colonnello» (termine che indicava sia l’unità, cioè un corpo tra le 1000 e le 3000 unità, sia il suo comandante), raggiungendo il rango di generale solo nel corso della sua ultima campagna.


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