Giovanni di Giovanni de’ MEDICI, meglio noto come Giovanni dalle Bande Nere, nasce
il 6 aprile 1498 a Forlì. La madre, Caterina Sforza, la signora guerriera di
Imola e Forlì, era una delle donne più famose del Rinascimento, che si era
strenuamente difesa da Cesare Borgia nella sua rocca forlivese. Il padre, Giovanni
di Pierfrancesco de’ Medici, detto il Popolano, era giunto alla corte di
Caterina Sforza due anni prima come ambasciatore della Repubblica fiorentina.
Il pargolo viene battezzato con il nome di
Ludovico, in onore dello zio Ludovico il Moro, ma dopo l’improvvisa morte del
padre avvenuta nel settembre del 1498, la madre gli cambia il nome in Giovanni.
Questi passa la propria infanzia a Firenze, nel convento di S. Vincenzo
Annalena poiché la madre era prigioniera di Cesare Borgia. Nel luglio del 1501 Caterina,
costretta dai Borgia a rinunciare a ogni pretesa su Imola e Forlì, raggiunge il
figlio a Firenze e si dedica alla sua educazione, sforzandosi di trasmettergli
i valori della nobiltà militare italiana alla quale ella apparteneva. Caterina
muore il 28 maggio 1509 avendo poco prima del decesso affidato il figlio alla
tutela di Jacopo Salviati, membro di una delle famiglie più antiche e potenti
di Firenze, e di sua moglie Lucrezia de’ Medici, figlia di Lorenzo il
Magnifico.
Fin dall’infanzia Giovanni dimostra un
temperamento violento e insofferente all’autorità, solo in parte frenato dalla
forte figura materna. Da adolescente prevale il suo carattere rissoso e
dissoluto, amante delle armi, del gioco e delle donne, e proprio a causa delle
sue violente intemperanze è costretto per lunghi periodi lontano da Firenze,
nelle sue proprietà di Castello e di Trebbio. Grazie alla intercessione di
Jacopo Salviati le intemperanze di Giovanni vengono rimediate ma, nel 1511, non
riesce ad evitargli il bando da Firenze, per l’uccisione di un suo coetaneo in
una lite tra bande di giovani. Il bando viene poi ritirato l’anno successivo.
Nel 1513 Jacopo Salviati viene nominato
ambasciatore a Roma, Giovanni lo segue e grazie sempre all’intercessione del
suo tutore, viene iscritto nelle milizie pontificie presso papa Leone X,
fratello di Lucrezia de’ Medici. Giovanni vive quasi per intero la sua breve ma
intensa vita adulta combattendo al servizio del blocco di potere che si era
creato tra l’élite finanziaria fiorentina e i papi della famiglia
Medici, Leone X e Clemente VII. Il suo battesimo del fuoco e il suo primo vero
comando (una compagnia di cavalleria) avviene nel marzo del 1516 durante la
guerra contro Urbino (1516-17), voluta da Leone X per spogliare il duca di
Urbino Francesco Maria I della Rovere del suo Stato e del titolo per darli al
proprio nipote, Lorenzo di Piero de’ Medici.
Nel 1517 Giovanni sposa la figlia di Jacopo
Salviati e di Lucrezia de’ Medici, Maria e da questa unione nasce, il 15 giugno
1519, il loro unico figlio, Cosimo, destinato un giorno a diventare Granduca di
Firenze. Tra il 1519 e il 1520, Leone X si serve di Giovanni e delle sue truppe
per riaffermare con le armi l’autorità papale su alcuni degli elementi più
riottosi della nobiltà dello Stato della Chiesa. Risalgono a questo periodo la
maggior parte degli episodi di violenza, duelli e risse sia a Firenze sia a
Roma, in virtù delle quali Giovanni sarebbe poi rimasto famoso. Nel 1521
partecipa all’invasione del Ducato di Milano, allora sotto il controllo della
Francia, congiungendosi alle forze imperiali e papali comandate da Prospero
Colonna.
La campagna del 1521 rappresenta il primo
assaggio di guerra vera per Giovanni che fino a quel momento aveva partecipato
a conflitti di dimensioni e portata limitate. L’occasione costituisce anche il
suo primo diretto contatto con il frenetico processo di sperimentazione tattica
che caratterizza la fase finale delle guerre d’Italia. Nel corso della sua
breve carriera, Giovanni si distingue per l’abilità e l’aggressività con le
quali riesce a sfruttare le potenzialità della cavalleria leggera (sia lancieri
sia archibugieri a cavallo) e della fanteria tattica, composta da insiemi
organici di picchieri e tiratori, in un periodo di transizione delle tecniche
di combattimento. L’evento bellico, infatti, si trasforma da una guerra
caratterizzata da frequenti battaglie campali a una prevalentemente di manovra,
fatta di piccoli scontri, assedi ed imboscate. Sebbene non fosse un innovatore
(come è stato sostenuto dai suoi primi biografi), ma un interprete di altissimo
livello della scienza militare del suo tempo, Giovanni emerge quale elemento di
spicco della generazione di condottieri che portò a compimento il processo di
trasformazione dell’arte della guerra, iniziato in Italia nel 1494 con la
calata di Carlo VIII di Valois. La campagna del 1521 si conclude con pieno
successo per le forze di Leone X e Carlo V d’Asburgo: nel novembre il capitano generale
Prospero Colonna occupa Milano riportando al potere Francesco II Sforza, allora
alleato degli Asburgo, mentre Parma e Piacenza tornano a far parte dello Stato
della Chiesa. Sfortuna vuole che improvvisamente, il 21 dicembre dello stesso anno,
Leone X muore e a Giovanni viene a mancare il suo principale referente politico
in un momento critico per la sua carriera. Per manifestare il lutto egli fa
annerire le insegne che fino ad allora erano bianche e viola, e tale atto lo
rende famoso come Giovanni dalle Bande Nere.
Ai primi del 1522 Giovanni viene nominato
governatore delle truppe della Repubblica fiorentina, i cui confini risultavano
malsicuri dalle conseguenze politiche e militari della repentina eclissi del
potere mediceo a Roma. Nel marzo dello stesso anno però Giovanni, spinto dalla
scarsa considerazione mostrata nei suoi confronti sia dagli Imperiali sia dai
Medici, decide di accettare le generose offerte che gli vengono profferte dal
campo francese.
Le modalità dell’improvviso cambio di
bandiera di Giovanni finiscono per nuocere gravemente alla sua reputazione di
condottiero, provocando tensioni e spaccature tra le sue truppe.
Alla fine del 1523 Giovanni, che militava nel
campo imperiale, si distingue con i suoi nella vittoriosa difesa di Milano
assediata dall’esercito francese, guidato dall’ammiraglio di Francia Guillaume
Gouffier. Nell’aprile 1524 affronta cinquemila fanti svizzeri, la più temuta
fanteria dell’epoca, che avevano disceso la Valtellina per andare in soccorso
dei francesi; Giovanni li sconfigge a Caprino Bergamasco, costringendo le
truppe francesi a lasciare l’Italia.
Terminate le operazioni in Lombardia con
un’altra dura sconfitta per la Francia, Giovanni, grazie anche alla preziosa
mediazione della moglie Maria Salviati, torna al servizio del ramo principale
della famiglia Medici, il cui potere era di nuovo saldo sia a Firenze sia a
Roma in seguito alla morte di Adriano VI, che avviene il 14 settembre 1523, e
all’elezione del cardinale Giulio de’ Medici a papa col nome di Clemente VII, il
19 novembre 1523. Il nuovo pontefice paga tutti i debiti di Giovanni che però è
costretto a passare con i francesi. Nel dicembre 1524 Giovanni, alla testa di duemila
fanti e circa duecento cavalleggeri, si unisce all’esercito francese che sta
assediando Pavia, dove si erano ritirate le truppe imperiali sotto il comando
di Antonio de Leyva. E proprio durante una scaramuccia sotto le mura della
città assediata, Giovanni viene ferito gravemente alla gamba destra da un colpo
di archibugio; costretto a lasciare il campo per farsi curare, non partecipa
alla decisiva battaglia di Pavia (24 febbraio 1525), che si conclude con la
spettacolare disfatta dell’esercito francese e la cattura dello stesso re
Francesco I. Indebolite dalle perdite sostenute durante l’assedio e prive del
loro capo, nel corso della battaglia le truppe di Giovanni vengono travolte e
disperse dalla sortita della guarnigione di Pavia.
Il rovinoso crollo delle fortune francesi
in Italia seguito alla sconfitta di Pavia e la minaccia dell’affermarsi
dell’egemonia asburgica sulla penisola provocano la formazione della Lega
antimperiale di Cognac, siglata il 22 maggio 1526 tra Francia, il duca di
Milano, Venezia, Firenze e il papa, con l’appoggio esterno dell’Inghilterra. Giovanni
viene nominato capitano generale della fanteria italiana dell’esercito della
Lega, destinato a scacciare gli Imperiali dal Ducato di Milano. Il 20 settembre
1526 i simpatizzanti imperiali Colonna e i loro partigiani penetrano a sorpresa
in Roma, obbligando con le armi Clemente VII a ritirarsi dalla Lega per quattro
mesi. Per mantenere il proprio comando Giovanni, che era soldato del papa, si
trova nuovamente a passare al servizio del Re di Francia. La situazione di
sostanziale stallo della guerra in Lombardia seguita alla forzata, seppur
momentanea, neutralità di Clemente VII, viene interrotta dalla calata dal
Tirolo di 12 mila fanti tedeschi reclutati e guidati da Georg von Frundsberg,
che arrivano il 21 novembre a Castiglione delle Stiviere dopo aver superato le
difese dei valichi alpini predisposte dall’esercito veneziano. Per impedire il
congiungimento dei lanzichenecchi di Frundsberg con le residue forze imperiali
comandate dal duca Carlo di Borbone connestabile di Francia, Francesco Maria I
Della Rovere, capitano generale della Lega in Italia, decide di seguire il
consiglio di Giovanni, lasciando le truppe francesi e svizzere a presidiare il
campo fortificato presso Vaprio d’Adda, posto a copertura di Milano, e
muovendosi con le truppe più mobili della Lega, cioè la cavalleria e la
fanteria italiane, per intercettare i Tedeschi prima che potessero attraversare
il Po e rompere così il contatto con le forze della Lega. L’azione delle truppe
italiane, guidate personalmente da Giovanni con la consueta aggressività, risulta
di particolare efficacia, e sta cominciando a dare i primi risultati quando, il
25 novembre, alla conclusione di uno scontro con la retroguardia dei
lanzichenecchi a Governolo (alla confluenza del Mincio nel Po, nel Marchesato
di Mantova), Giovanni viene colpito da un colpo di falconetto (un pezzo di
artiglieria leggera), che gli fracassa il femore della gamba destra.
Trasportato tra molte difficoltà a Mantova, nel palazzo del suo amico e
compagno d’armi Luigi Gonzaga, il ritardo nei soccorsi e la gravità della
ferita rendono vana l’amputazione dell’arto leso, eseguita dal celebre medico
ebreo Mastro Abramo.
Giovanni muore a Mantova nella notte tra
il 29 e il 30 novembre 1526, probabilmente in conseguenza di una grave
infezione. Sebbene nel corso della sua esistenza avesse raggiunto una certa
fama, egli non si era sostanzialmente distinto dagli altri giovani e capaci
comandanti della sua generazione, che erano caduti sul campo nel corso della
fase più sanguinosa e violenta delle guerre d’Italia prima di poter raggiungere
la maturità militare. Giovanni aveva partecipato a una sola grande battaglia
(quella della Bicocca), giocando in essa un ruolo abbastanza marginale e
militando tra i perdenti. I suoi più grandi successi li aveva ottenuti al comando
di alcune centinaia di cavalieri e di una unità di fanteria le cui dimensioni
non superavano quelle di un reggimento o, secondo la terminologia militare
italiana dell’epoca, di un «colonnello» (termine che indicava sia l’unità, cioè
un corpo tra le 1000 e le 3000 unità, sia il suo comandante), raggiungendo il
rango di generale solo nel corso della sua ultima campagna.
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