Introduzione
Nel 2010 la
Repubblica Popolare Cinese e lo Stato Plurinazionale di Bolivia hanno
festeggiato venticinque anni di intense relazioni diplomatiche. Nell’ultimo
decennio, i loro rapporti, si sono intensificati. In un primo momento, il
Governo cinese, concesse al Governo boliviano crediti per l’acquisto di
macchine agricole. Col tempo, furono accordati a La Paz anche finanziamenti
agevolati per la fornitura di materiale bellico ed, infine, per la messa in
orbita di un satellite per le telecomunicazioni. Il Governo presieduto da Evo
Morales ha recentemente emanato alcuni provvedimenti legislativi dai quali
trapela l’interesse della Cina per una porzione di territorio boliviano: le
saline di Coipasa e Uyuni. La domanda sorge spontanea: siamo di fronte ad un
mero accordo bilaterale, oppure, si tratta di un piano escogitato dalla
diplomazia cinese finalizzato all’approvvigionamento, detenzione e controllo di
metalli strategici?. Cercheremo di rispondere a questa domanda analizzando
alcuni avvenimenti e confrontando le opinioni degli esperti.
Salar de
Coipasa
Questa distesa
di sale, situata a 3.657 metri sopra il livello del mare, si trova nel
Dipartimento di Oruro, una regione confinante col Cile. Conta una superficie di
2.218 chilometri quadri ed una profondità massima di 100 metri di coltri
sovrapposte che variano da uno a due metri di spessore. E’ il secondo deserto
di sale più grande della Bolivia, dopo il Salar de Uyuni, ed è lungo 700 chilometri
e largo 50. Soltanto 25 chilometri quadri del Salar de Coipasa si trova in
territorio cileno. Nella foto satellitare di cui sopra, è possibile scorgerla
in alto a sinistra.
Salar de
Uyuni
In questa
località, che presenta un clima ostile ed un importante deficit idrico, si
trova, come abbiamo appena detto, il deserto di sale più grande del mondo. E’
situato a 3.650 metri sopra il livello del mare nella provincia di Daniel
Campos, Dipartimento di Potosí, una regione altiplanica confinante con le Ande.
Conta una superficie di 12.000 chilometri quadri ed una profondità di 120
metri. Contiene, al suo interno, circa 11.000 milioni di tonnellate di sale
sparse lungo undici coltri con uno spessore che varia da uno fino a dieci metri
ciascuna.
Oltre ad essere
una meta turistica esotica visitata da sessantamila turisti ogni anno, il Salar
de Uyuni, custodisce le maggiori riserve di litio del mondo, assieme ai non
meno importanti giacimenti di potassio, boro e magnesio. Secondo le stime della
Corporación Minera de Bolivia (COMIBOL) le riserve di litio
ammonterebbero a 18 milioni di tonnellate[i]. Per il Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS), al contrario, tali
riserve non supererebbero le 5,5 milioni di tonnellate.
Il litio
Il 50% delle
riserve mondiali di litio si trovano in questi due distese di sale. Stiamo
parlando di un metallo soffice, di color argento, che si ossida rapidamente a
contatto con l’aria o l’acqua. E’ il più leggero degli elementi solidi ed i
suoi impieghi sono molteplici: trasferimento del calore, produzione di batterie
e lavorazione di farmaci antipsicotici. Viene perfino utilizzato dall’industria
bellica, dato che l’idrossido di litio serve per eliminare il diossido di
carbonio accumulato nell’aria delle navicelle spaziali e dei sottomarini. Addirittura
le leghe di questo metallo con l’alluminio, il cadmio, il rame ed il manganese
sono impiegate nella produzione di ricambi aeronautici. Insomma, le intrinseche
caratteristiche del prezioso metallo ed i suoi variegati impieghi industriali,
collocano la Bolivia al centro dell’attenzione della Cina, che demanda quantità
sempre maggiori di materie prime, soprattutto minerarie.
L’estrazione del metallo e la prima
industrializzazione del litio
Nel 2011 il
consorzio coreano KORES, POSCO SK innovation Co ed LG Chemical Ltd. hanno
sottoscritto un protocollo
d’intesa con le autorità boliviane per costituire una joint venture
locale al fine di immettere sul mercato una nuova batteria al litio. Anche
l’impresa statale cinese CITIC Gouan, a seguito di uno studio di fattibilità
che diede esito positivo, inviò una proposta al Governo boliviano per lo
sfruttamento minerario e conseguente stabilimento industriale.
Come noto,
l’esecutivo presieduto da Evo Morales, vuole che le multinazionali straniere
non si limitino alla sola estrazione delle risorse nazionali ma pretende che la
prima lavorazione del prodotto avvenga in patria contribuendo così alla prima
fase per l’industrializzazione del litio. I sudcoreani si sono dimostrati
disponibili al trasferimento della tecnologia necessaria affinché si possano
produrre le batterie in loco ed anche i cinesi hanno garantito la massima
collaborazione sia per quanto riguarda la trasmissione della tecnologia che per
le varie fasi dell’industrializzazione.
La Gerencia
Nacional de Recursos Evaporíticos de Bolivia (GNREB) stanziò agli inizi
dell’anno scorso due milioni di dollari per la formazione di trentanove
persone, fra ingegneri, scienziati, tecnici ed strumentisti, sulle proprietà,
disegno e progettazione delle batterie di ioni di litio. Non solo. Nel mese di
marzo sempre dell’anno scorso fu inaugurato il gasdotto binazionale “Nestor
Kirchner”, che unisce la cittadina argentina di Abra Pampa alla località
boliviana di Uyuni. In questo modo, il Governo boliviano, garantisce da una
parte mano d’opera specializzata ed altamente qualificata e, dall’altro canto,
il flusso di energia necessaria – gas naturale – per mantenere attivi gli
impianti produttivi della zona. Nella corsa all’industrializzazione del litio i
dubbi permangono: la Bolivia è pronta a competere immettendo i propri manufatti
nei mercati internazionali?.
Secondo
l’esperto locale Juan Carlos Zuleta Calderón[ii] se per “industrializzazione del litio” s’intende la fabbricazione di
batterie in patria, allora il gruppo cinese CITIC Gouan potrebbe non essere il
miglior alleato strategico per due motivi: il primo perché la ditta in
questione non ha completamente sviluppato questo tipo di tecnologia; il secondo
perché la Bolivia si troverebbe a dover competere contro le multinazionali del
Giappone e della Corea del Sud che sono aziende leader nello specifico settore.
Nettamente contraria l’opinione dell’economista boliviano Jaime Durán[iii] il quale ha sottolineato che l’industrializzazione del litio rappresenta
una sfida per il paese: “sarebbe più facile consegnare le ricchezze ad altre
imprese ma queste non vengono qui per sviluppare o migliorare le condizioni di
vita dei boliviani” ha affermato. Naturalmente, questa ultima frase
alludeva al netto rifiuto dei popoli originari di Uyuni ai progetti avanzati
della multinazionale Litium Corporation durante il governo di Jaime Paz
Zamora (1989-1993). In realtà lo Stato Plurinazionale di Bolivia ha altre aspirazioni che non
si limitano ai “soli” progetti per l’industrializzazione.
Il Governo
cinese, per conto di La Paz,
sta costruendo il satellite “Túpac Katari”. Questo satellite è il risultato di
un accordo che costerà alle casse del paese andino circa 300 milioni di dollari
finanziati, in parte, dal Tesoro General de la Nación e dalla Banca
dello Sviluppo Cinese. Secondo il direttore dell’Agenzia Spaziale Boliviana,
Iván Zambrana, sarà lanciato il 20 dicembre 2013 dal Centro di Controllo di
Xichang, nella Cina sudorientale e la sua missione sarà quella offrire servizi
di telecomunicazioni.
La Cina,
attraverso la Export Import Bank of China, oltre a finanziare piani
energetici della Bolivia, ha recentemente concesso prestiti per l’acquisizioni
di trivellatrici che ammontano a 60 milioni di dollari. Tale prestito fu
ratificato dalla Legge 187 del 22 novembre 2011. In più, ha aperto una linea di
credito per 108 milioni di dollari finalizzata all’acquisto di sei elicotteri
H-425. Anche questo ratificato da una successiva Legge, la numero 231 del 28
marzo 2012.
Le “Politiche di Stato” di Pechino
Si attribuisce a
Deng Xiaoping la seguente frase: “Il Medio Oriente ha il petrolio, noi
abbiamo le terre rare”. A distanza di quasi vent’anni si discute se sia
stata effettivamente pronunciata da egli stesso. Non possiamo negare però il
contenuto estremamente attuale di una simile affermazione. La Cina, oltre a
monopolizzare il commercio internazionale delle terre rare[iv],
attualmente estrae e lavora il litio boliviano. Resta da vedere se siamo in
presenza di una vera e propria “Politica di Stato” orientata in tal senso,
oppure, se si tratta di semplice intuito per gli affari. Se riflettiamo in
chiave retrospettiva, analizzando gli avvenimenti degli ultimi trent’anni,
vediamo come le attuali potenze mondiali, in maggior o minor misura, abbiamo
catalogato le risorse a seconda dell’importanza strategica che rivestono per la
sicurezza nazionale. Spesso, le risorse non solo sono “strategiche” ma anche
“critiche”. La Cina sembrerebbe muoversi nella stessa direzione.
Nel 2003, il
Consiglio di Stato, pubblicò il Libro Bianco sulle Risorse Minerarie fissando,
inoltre, gli obiettivi da raggiungere per la costruzione di una società “con
alto potere d’acquisto” entro i primi vent’anni del nuovo secolo. L’anno
scorso, nel tentativo di dare una concreta risposta ai problemi legati
all’industria delle terre rare[v],
come ad esempio l’estrazione selvaggia, il sovra sfruttamento delle miniere e
l’inquinamento ambientale, il Consiglio di Stato pubblicò un nuovo Libro
Bianco. Tale documento introdusse una serie di misure per la salvaguardia
dell’ambiente e l’innovazione tecnologica nel vano tentativo di giustificare le
continue restrizioni all’esportazione dei preziosi minerali fortemente
contestate dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti e dal Giappone. Siamo in
grado, dunque, di affermare che effettivamente la Cina sta adoperando una
“Politica di Stato” che possiamo definire, se non di accumulo, di controllo.
Ciò in virtù dei piani quinquennali (2001-2005), (2006-2010) e degli obiettivi
di lungo termine che il Consiglio di Stato vuole raggiungere: una nazione
innovativa entro il 2020 ed una potenza scientifica entro il 2050.
Conclusione
La Cina dispone
di ingenti riserve che gli consentirebbe di garantirsi, in caso di necessità o
grave pericolo, un ampio margine di autonomia. Vi sono poi alcuni elementi che
ci inducono a ridimensionare la portata degli interessi cinesi in territorio
boliviano. E’ difficile stabilire quando sono di natura privatistica e quando
di natura pubblicistica. Nel primo caso, la cooperazione economica si presenta
autoreferenziale: vale a dire, orientata verso il profitto. Nel secondo caso,
qualunque intervento concreto mirerebbe a soddisfare un interesse superiore:
quello, appunto, della collettività. Il fatto che a finanziare una serie di
importanti progetti per lo sviluppo boliviano sia una banca statale cinese
potrebbe destare qualche sospetto. Non dimentichiamo che secondo le stime dell’ICE Futures Inc. le industrie cinesi
consumano circa un terzo dei metalli strategici estratti a livello planetario.
Forse l’ambiguità del “Sistema Cinese”, costruito sulla base dello slogan “un
paese, due sistemi” non ci consente di pervenire ad una conclusione
univoca. Tuttavia, lo scrivente, desidera esprimere un’ultima considerazione.
I consumatori
richiedono, ai prodotti di ultima generazione, prestazioni sofisticate e
maggiore autonomia. Aumenta la demanda di nuovi marchingegni tecnologici e
diminuisce l’offerta di metalli “rari” per poter fabbricarli. La scarsità
delle risorse e la contrazione dell’offerta cinese, in un momento di espansione
della domanda globale di tecnologia, ha scatenato le proteste dei paesi
importatori. Gli Stati Uniti, Australia e Brasile stiano cercando di
incrementare, faticosamente, la propria produzione. Anche l’Europa è intenta a costituire scorte per garantirsi una
relativa autonomia. Il Giappone, in controtendenza rispetto alle nazioni, è
impegnato nella ricerca di materiali alternativi per soddisfare il fabbisogno
delle proprie industrie specializzate nella tecnologia più avanzata.
Nonostante
questi avvenimenti, la storia dimostra che nei momenti di difficile congiuntura
internazionale, non solo aumentano i prezzi delle materie prime “strategiche”
ma anche le operazioni di Merger & Acquisitions. Così successe nel
2005 a seguito dell’aumento delle comodities del settore minerario.
Perciò, le imprese boliviane, non devono avere paura della concorrenza
sudcoreana o giapponese. Anzi, devono temere, giustamente, di essere
inghiottite dalle ambizioni commerciali e politiche del loro alleato cinese.
Francesco G. Leone è direttore del Programma
"America Latina" dell'Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze
Ausiliarie (IsAG)
[i] Agenzia EFE. La Paz, 27 gennaio 2010. Fino al 2009 le riserve furono
stimate in 9 milioni di tonnellate. A seguito di nuove ricerche, effettuate
durante il 2009, le stime "storiche" sarebbero sbagliate e le riserve
attuali sarebbero il doppio.
[ii] Jaime Duran, “La desonestidad de un colega”, sezione analisi ed opinione.
[On line]. Url: http://www.hidrocarburosbolivia.com. Consultato il 24.03.2012.
[iii] Jaime Duran, “La desonestidad de un colega”, sezione analisi ed opinione.
[On line]. Url: http://www.hidrocarburosbolivia.com. Consultato il 24.03.2012.
[iv] Secondo the
International Union of Pure and Applied Chemistry, le terre rare sono
diciassette elementi della tavola periodica: scandio (Sc), ittrio
(Y), lantanio (La), cerio (Ce), praseodimio (Pr), neodimio
(Nd), promezio (Pm), samario
(Sm), europio (Eu), gadolinio
(Gd), terbio (Tb), disprosio
(Dy), olmio (Ho), erbio (Er), tulio (Tm), itterbio
(Yb), lutezio
(Lu). Sono tutti elementi indispensabili per la produzione di nuovi prodotti ad
alto contenuto tecnologico sia per impieghi civili che militari.
[v] Le grandi
multinazionali del settore minerario che scommettono sulle terre rare,
dispongono, innanzitutto, di ingenti capitali da utilizzare durante le fasi di
pianificazione, studio, esplorazione e progettazione. Infatti vi è un elevato
rischio connesso alle operazioni estrattive ed i tempi medio lunghi per poter
quantificare i profitti. Infine, resta il problema, del tutto prevedibile,
relativo agli alti costi ambientali.
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