Atto Costitutivo e Statuto della Associazione

L'Atto Costitutivo, lo Statuto della Associazione, la Scheda di Adesione sono pubblicati sotto la data del 2 febbraio 2013 di questo Blog

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martedì 14 ottobre 2014

Iniziata la nuova sessione IASD.



E' iniziata ieri 13 ottobre a Palazzo Salviati la 66^ Sessione Ordinaria, 14^ Sessione Speciale e 3° Corso ICC.
La 66^ Sessione Ordinaria si svolgerà in due fasi: la prima detta "a distanza", dal 13 ottobre 2014 al 6 gennaio 2015, durante la quale i frequentatori permarranno ciascuno presso la propria sede di servizio; la seconda fase, detta "residenziale", avrà inizio il 7 gennaio 2015 e si concluderà il 19 giugno 2015, e si svolgerà presso la sede dello IASD, secondo le modalità indicate nei programmi.
Il 3° International Capstone Course (ICC), inizierà il 16 marzo 2015 e si concluderà il 30 aprile 2015. Esso sarà integrato nella Sessione Ordinaria, i cui seminari si svolgeranno in quel periodo unicamente in lingua inglese.
La 14^ Sessione Speciale si svolgerà in concomitanza con la fase "residenziale" della Sessione Ordinaria, con una sospensione dal 16 marzo al 30 aprile, in corrispondenza del 3° ICC, con obbligo di frequenza limitato al lunedì mattina e al martedì.
Per l'Anno Accademico 2014/2015 sono previsti di massima:
- 23 frequentatori italiani della Sessione Ordinaria
- 20 frequentatori stranieri della Sessione Ordinaria
- 20 frequentatori della Sessione Speciale
- 15 frequentatori stranieri dell'ICC
- 10 frequentatori Master "esterni"


BANDINELLI, Bartolomeo detto Baccio (1488-1560)

(ricerca di Adele Pizzullo)
Della famiglia Brandini, mutò poi il cognome in Bandinelli. Nacque a Firenze il 7 ottobre 1488 da Michelangelo di Viviano Brandini, orafo assai apprezzato presso la corte medicea. Si formò inizialmente presso un modesto pittore, Girolamo del Buda e fece a lungo pratica studiando e copiando i maestri del Quattrocento fiorentino. Iniziò la sua attività artistica come pittore probabilmente con poco successo: infatti nel 1512 ricevette la commissione dell'affresco con il Matrimonio della Vergine nel chiostrino dei voti della Santissima Annunziata, opera poi affidata al Franciabigio. Intanto dal 1508 era entrato nella bottega di Giovanfrancesco Rustici, scultore anch'egli prossimo agli ambienti della Santissima Annunziata. Nel 1515 Baccio ricevette la prima commissione scultorea: il San Pietro in marmo per il Duomo e nello stesso anno fu fra gli artisti incaricati di realizzare gli apparati effimeri per l'ingresso trionfale di papa Leone X Medici in città. Intorno al 1519 su commissione del cardinale Giulio de' Medici realizzò la statua di Orfeo che incanta Cerbero poi collocata nel cortile di Palazzo Medici. Fra il 1518 e il 1520 partecipò alla decorazione della Santa Casa di Loreto al seguito di Andrea Sansovino, come racconta il Vasari.
Intorno al 1520 andò a Roma per eseguire una copia del gruppo del Laocoonte da mandare in dono a Francesco I re di Francia. L'opera, interrotta per la morte di Leone X, venne conclusa nel 1525 e collocata nel giardino di Palazzo Medici a Firenze per volere del cardinale Giulio divenuto nel frattempo papa Clemente VII. Ancora nel 1525 il pontefice Medici commissionò a Baccio il pendant del David di Michelangelo raffigurante Ercole e Caco, da collocare anch'esso davanti a Palazzo della Signoria. L'artista realizzò l'opera in aperta competizione con il Buonarroti, che - a detta del Vasari - detestava. Lasciata interrotta l'opera nel 1527 in occasione della caduta dei Medici e l'avvento dell'ultima Repubblica, Baccio riparò a Lucca e poi a Genova. Qui ricevette l'incarico di realizzare Andrea Doria come Nettuno, scultura poi mai realizzata. Con il rientro dei Medici, anche Baccio tornò a Firenze e portò a termine l'Ercole e Caco nel 1534. Intorno al 1530 l'imperatore Carlo V lo insignì col cavalierato dell'Ordine di San Iago. Per il monarca l'artista fece un rilievo rappresentante una Deposizione . In tale periodo l'artista assunse il cognome "Bandinelli", con cui è noto .Morto Clemente VII, nel 1536 i Medici affidarono a Baccio i Monumenti sepolcrali di Leone X e Clemente VII da situare in Santa Maria sopra Minerva a Roma. L'opera interrotta e poi ripresa nel 1541, non fui mai portata a termine. Nel frattempo Cosimo I de' Medici, duca di Firenze, commissionò allo scultore il Monumento a Giovanni delle Bande Nere destinato a San Lorenzo, ma anch'esso mai concluso: alcune parti, fra cui la statua del condottiero, furono poi assemblate e situate nella piazza antistante la chiesa. Negli stessi anni il Bandinelli era impegnato nella sistemazione dell'Udienza nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, poi portata a termine da Vasari. Dal 1547 Baccio lavorò al coro del Duomo realizzando alcune parti e alcune statue non più in loco (la Pietà e il Dio Padre nel complesso di Santa Croce; l'Adamo e Eva al Museo del Bargello), per lasciare poi la realizzazione del resto all'allievo Giovanni Bandini.Nel 1548 scolpì un busto ritratto di Cosimo I, che fu preferito dal committente a quello realizzato da Benvenuto Cellini. Carattere ambizioso e litigioso, Baccio fu in aperta competizione con Cellini e Bartolomeo Ammannati.
A quest'ultimo lasciò la commissione della Fontana del Nettuno in piazza della Signoria, morendo nel febbraio del 1560. Fu sepolto nella chiesa della Santissima Annunziata. L'altare della cappella Bandinelli è ornato dalla Pietà scolpita dallo stesso Baccio in collaborazione con il figlio Clemente.
Dal testo "Roma moderna" risulta un quadro dell'artista a Palazzo Salviati, una Metamorfosi. Invece nel libro "Palazzo Salviati alla Lungara" il quadro risulta essere una Leda collocato nella stanza del Camino.

DEL PIOMBO, Sebastiano ( 1485-1547)

(ricerca di Adele Pizzullo)
Il pittore manierista Sebastiano Luciani, conosciuto come Sebastiano del Piombo, nasce a Venezia nel 1485. La sua carriera di pittore inizia tardi, in quanto inizialmente Sebastiano è un suonatore di liuto.Nelle sue opere sono evidenti le influenze avute durante la sua formazione che avviene, secondo il Vasari, da Giovanni Bellini e Giorgione, tanto che alcuni dipinti sono stati spesso confusi come appartenenti al Giorgione, ad esempio "Salomè" del 1510. Nel 1511 Del Piombo si reca a Roma, dove il banchiere senese Agostino Chigi gli commissiona le decorazioni per la sua villa Farnesina, quindi si stabilisce definitivamente a Roma, dove si unisce al circolo di artisti raffaelliani. Si distingue subito per la bravura nel realizzare ritratti. Nel 1515 circa Sebastiano passa sotto l'influenza di Michelangelo Buonarroti con il quale inizia una collaborazione artistica. Durante il suo lavoro a Roma Sebastiano Del Piombo unisce i colori caldi tipici della scuola veneziana con la chiarezza del disegno anatomico michelangiolesco. Il suo stile diventa la più valida alternativa a quello di Raffaello e la competizione con l'Urbinate si fa esplicita: alla fine del 1516 il cardinale Giulio de' Medici commissiona due pale d'altare per la sua sede vescovile di Narbonne, una a Raffaello, che esegue la "Trasfigurazione" e l'altra a Sebastiano, che conclude poi nel 1519 "La resurrezione di Lazzaro". Basandosi proprio su disegni e cartoni di Michelangelo realizza nel 1517 quella che sarà la sua opera migliore: la "Pietà " suscitando grande stima in Michelangelo stesso. Dal 1520-1530, dopo la morte di Raffaello nel 1520, Sebastiano è il più noto e ricercato pittore ritrattista a Roma. Nel 1526 dipinge i suoi migliori ritratti, quello di "Andrea Doria" e di "Clemente VII". Nel 1531 Papa Clemente VII gli conferisce il posto, ben remunerato, di custode del sigillo papale, chiamato appunto piombino, da qui il suo soprannome Del Piombo. Durante gli ultimi 17 anni della sua vita la produzione dell'artista si riduce notevolmente, proprio per l'agiatezza economica raggiunta. Entra in un forte disaccordo con Michelangelo per il Giudizio Universale. Sebastiano incoraggia il Papa a insistere con il Buonarroti di realizzare questa opera ad olio. Michelangelo risponde a Sua Santità che l'olio è adatto solo per le donne e per i pigri come Sebastiano. Da qui si inasprisce il rapporto fra i due pittori e questa freddezza durerà fino alla morte.
Sebastiano muore a Roma nel 1547. Il rito funebre del pittore avviene secondo le sue volontà senza alcuna cerimonia e lascia i suoi averi ai poveri .E' sepolto nella chiesa di Santa Maria del Popolo.
Dal testo "Roma moderna" risulta una sola opera dell'artista, a Palazzo Salviati, una Madonna con il Bambino.

RENI, Guido (1575-1642)

(ricerca di Adele Pizzullo)
Pittore italiano, fra i maggiori del Seicento, nasce a Bologna il 14 novembre del 1575, ancora giovanissimo, espresse una naturale predisposizione al disegno .Accolto come apprendista nello studio del pittore fiammingo manierista Calvaert, Reni, attorno ai vent’anni aderì all’Accademia degli Incamminati, che i Carracci avevano aperto dal 1582. Dopo un periodo di lunghe esercitazioni riproducendo tra l’altro opere di Annibale Carracci, Guido Reni si distacca dall'influsso manierista e dal gruppo di artisti che ruotavano intorno ai Carracci. Nel 1602, il giovane pittore, che già lavora a commesse proprie, si reca a Roma per studiare nuove tecniche pittoriche, la lezione caravaggesca e completare la propria preparazione artistica, fra il 1604 ed il 1605 a Roma, dipinge per la Chiesa di San Paolo alle Tre Fontane, la Crocefissione di san Pietro, dove evidenzia un suo linguaggio personale, una sua ricerca estetica. Il pittore nel tentativo, comune al Caravaggio, di superare la finzione e l'artificiosità Barocca, aderendo alla realtà e rendendola più credibile, controlla e disciplina la composizione attraverso rapporti e regole di derivazione classicista. Guido Reni diventa l'interprete del gusto colto e aristocratico dei committenti romani, protetto da  Paolo V e da Scipione Borghese, divide la sua attività tra Roma e Bologna, dove si ferma definitivamente verso il 1620. Tra i prestigiosi lavori del Reni a Roma, si ricordano gli affreschi delle Sala delle Nozze Aldobrandine e della Sala delle Dame in Vaticano; le decorazioni nel Palazzo del Quirinale alla Cappella dell'Annunciata e alla Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore; l'Aurora affresco nel casino del Palazzo Rospigliosi Pallavicini, opera che risente dello studio della scultura antica oltre che della conoscenza di Raffaello e del Correggio.Tornato a Bologna, il pittore gode dall’entusiasmo suscitato dalla Strage degli Innocenti e dal Sansone vittorioso dipinti tra il 1611 e il 1612 e continua a lavorare a ritmo intenso per una clientela europea di altissimo rango, per la quale esegue dipinti, non solo religiosi, ma affronta anche tematiche mitologiche e letterarie, utilizzando un linguaggio teso in modo costante a teorizzare il bello nell'accezione di morale. Dipinge per il duca di Mantova la favola profana delle Fatiche di Ercole ora al Museo del Louvre a Parigi, Cristo al Calvario e Lucrezia. L'originale capolavoro della Pala della peste, dipinta su seta, come ex-voto per la fine della peste del 1630-31 dà inizio all’ultimo decennio di attività del Reni, del quale si ricordano Fanciulla con ghirlanda, opera significativa per conoscere il suo atteggiamento sperimentale nell'uso del colore, l'Adorazione dei pastori, 1640-42, ora alla National Gallery di Londra e Cleopatra, 1640-42, Pinacoteca Capitolina di Roma.
Guido Reni muore, dopo due giorni di agonia, il 18 agosto 1642, all’età di sessantasette anni ed il suo corpo è esposto al popolo per due giorni nella chiesa di San Domenico.
Nel testo "Roma modern"a si parla di una Maddalena a mezza figura che si trovava a Palazzo Salviati, come risulta anche dal "Palazzo Salviati alla Lungara" , nella Camera delle Udienze, si citano anche altre due opere dell'artista: una Madonna, che si trovava nella stanza del Camino e un San Francesco a figura intera collocata nella camera del cantone verso strada accanto al gabinetto.

DI TITO, Santi (1536-1603)


(ricerca di Adele Pizzullo)
Pittore e architetto nacque a Sansepolcro nel 1536, allievo di A. Bronzino e B. Bandinelli. Il riferimento all'arte fiorentina del primo Cinquecento e l'influsso degli Zuccari furono fondamentali per la sua riforma antimanieristica, che lasciò una forte impronta nell'ambiente artistico fiorentino. Si formò nella bottega di Sebastiano da Montecarlo ma poco è noto dei suoi esordi. Determinante fu il viaggio a Roma (1558-1564) dove si aggiornò sul linguaggio della scuola di Raffaello e su quello degli artisti con cui collaborò nei cantieri di Palazzo Salviati (1559), del Belvedere (1561-1562) e della Casino di Pio IV (1561-1565) in Vatican.Tornato nella città natale entrò nell’Accademia del Disegno e si occupò, nel marzo del 1564, della progettazione degli apparati funebri per le esequie di Michelangelo. Dopo una prima fase stilistica influenzata dalla maniera romana, il pittore si orientò verso un linguaggio più semplice ed essenziale, rifacendosi alla tradizione fiorentina dei primi decenni del secolo. Tra le opere più importanti eseguite a Firenze si ricordano: la Resurrezione in Santa Croce (1565), Le sorelle di Fetonte per lo Studiolo di Francesco I, la Resurrezione di Lazzaro in Santa Maria Novella (1576), il Martirio di santo Stefano nella chiesa dei Santi Gervasio e Protasio (1579), Cristo nel Getsemani in Santa Maria Maddalena dei Pazzi (1591) e la Visione di San Tommaso in San Marco (1593).
Un analogo linguaggio esplicitamente antimanieristico informa le opere architettoniche: a Firenze, l'oratorio della confraternita di S. Tommaso d'Aquino (1568-69), molto alterato; palazzo Dardinelli poi Fenzi; palazzo Zanchini (1583 circa). Inoltre, la cappella di S. Michele (1591, Colle di Petrognano in Val d'Elsa), con cupola che riproduce in piccolo quella brunelleschiana di S. Maria del Fiore; il convento di S. Michele alla Doccia (1599) presso Fiesole, villa Le Corti, la scalinata di palazzo Nonfinito, la sua casa-palazzo in via delle Ruote a Firenze.
Morì a Firenze il 23 luglio 1603.
Il testo "Roma moderna" cita un' opera del Santi di Tito che si trovava a Palazzo Salviati: una Sacra Famiglia, e inoltre la sua opera nell'altare e nelle pareti della Cappella. In "Palazzo Salviati alla Lungara" vengono menzionati due grandi ritratti alti più di due metri che si trovavano nella stanza del Camino e due Virtù collocate nella camera del cantone verso strada accanto al gabinetto





BIGORDI, David, detto (del) Ghirlandaio (1452 - 1525)

(ricerca di Adele Pizzullo)
Figlio di Tommaso e di una Antonia, nacque a Firenze il 14 marzo 1452 .I suoi fratelli furono Benedetto Ghirlandaio (1458-1497) e, il più famoso, Domenico Ghirlandaio (1449-1494). Già nella dichiarazione al catasto del padre, del 1480, il B. appare come aiuto di Domenico, e tale rimase nella bottega del fratello sino alla morte di questo (1494) . Successivamente accolse nella propria casa, educandolo come figlio, il nipote Ridolfo che, divenuto a sua volta pittore, lavorò a lungo nella bottega del B. (documenti in Mather, 1948; Marchini, p. 118, doc. 134).
Come attività propria egli svolse prevalentemente quella di mosaicista - raggiungendo una certa notorietà - soprattutto dopo la morte di Domenico e nell'ambito della rinascita di quest'arte voluta da Lorenzo de' Medici, che ambiva riportarla agli antichi splendori (v. A. Chastel,Arte e umanesimo a Firenze..., Torino 1964, pp. 167-171). R. W. Kennedy (1938, p. 157) ritiene che il B. derivasse stile e tecnica dai mosaici del Baldovinetti del quale avrebbe adottato anche i colori schiariti. Si distinse nella decorazione a mosaico della cattedrale ad Orvieto, e sue opere a mosaico restano anche nel duomo di Firenze (lunetta dell'Annunciazione) e sulla facciata della basilica della Santissima Annunziata, sempre a Firenze. Lavorò anche a Roma sotto Sisto IV, decorando ad affresco le lunette della Biblioteca Sistina.
Si sposò due volte: con Caterina Mattei di Andrea del Gabburro e con Tommasa di Luigi de' Morsi (Milanesi, in Vasari, III, p. 282), ma non risulta che abbia avuto figli. Morì a Firenze il 10 apile 1525.
Nel testo " Roma moderna" si parla di una Sacra Famiglia del Ghirlandaio tra i quadri di Palazzo Salviati , mentre nel "Palazzo Salviati alla Lungara" il quadro è nominato come Madonna con Bambino e San Giuseppe ed è collocato nella sala del Camino.




lunedì 6 ottobre 2014

Una testimonianza dalla finestra.


Giorgio Romano nato a Roma e battezzato nella Basilica di San Pietro, vive a Gela dove è Dirigente Scolastico. Ha pubblicato il volume qui rappresentato che raccoglie le sue rimembranze e ricordi di quando era piccolo tra cui un episodio minore perchè mediaticamente trascurato, ma altrettanto tragico quale la deportazione di famiglie di ebrei strappate a tutto ciò che era a loro caro e destinate ad un viaggio quasi sempre senza ritorno verso i campi di concentramento. La testimonianza ha per noi un grande valore in quanto Giorgio Romano abitava a ridosso di Palazzo Salviati in quei tragici anni.Ovvero una testimonianza diretta della storia di Palazzo Salviati. (Natalia Pezzuto)

Operazione Tre Pinguini



Riunione del 6 ottobre 2014 in cui si è stabilita la procedura allargata per l'inserimento dei post relativi alle ricerche di Palazzo Salviati.

giovedì 25 settembre 2014

Porta Santo Spirito

Ricerca a cura di Luigi Marsibilio












Siamo in piazza Della Rovere e, fronte al Tevere, volgiamo lo sguardo verso sinistra, alla fine della piazza, inizia la via di Porta Santo Spirito che è sbarrata dalla omonima Porta, una poderosa architettura classicheggiante articolata su quattro colonne giganti e due nicchie laterali con arco centrale. In origine era nota come “posterula Saxonum” (posterula dei Sassoni) in quanto nel 727 il re Ine del Wessex si trasferisce a Roma dopo l’abdicazione e qui fonda una “schola Saxonum”, con annessa chiesa e cimitero,  con lo scopo di fornire una preparazione e un’istruzione cattolica al clero e ai nobili inglesi. I sassoni risultano presenti in quella zona fino alla fine del XII secolo, allorquando il re Giovanni Senzaterra dona il complesso della schola per l’edificazione della chiesa di Santa Maria in Saxia (che poi diventa Santo Spirito in Sassia), e dell’ospedale tuttora esistente. Con l’occasione papa Innocenzo III fa aggiornare anche il nome della porta in Santo Spirito. Questa è tra le più antiche porte del muro che circonda il Vaticano ed è stata oggetto di un’aspra disputa tra due grandi artisti, Michelangelo Buonarroti e Antonio da Sangallo il Giovane il quale ideò la struttura nel 1543. L’opera alla fine è rimasta incompiuta in quanto il Buonarroti, dopo la morte del Sangallo, la completò ma in maniera frettolosa e approssimativa, facendo qualche intervento di tipo disfattista (non potendo demolirla) tendente sia a rovinarla sia per rifarsi delle tremende critiche che gli venivano rivolte per il poco apprezzato progetto di Porta Pia. Oltrepassata la Porta Santo Spirito si percorre la via dei Penitenzieri all’inizio della quale a destra troviamo il portale barocco eretto da Alessandro VII (1664), che rappresenta l’ingresso principale all’Ospedale di Santo Spirito e usato fino a quando la struttura fu ampliata con i nuovi fabbricati che fronteggiano piazza Della Rovere e il lungotevere in Sassia. L’Ospedale, fondato nel 1198 da Innocenzo III che l’affidò a Guido di Montpellier (creatore in Francia dell’Ordine ospitaliero di Santo Spirito), fu distrutto da un furioso incendio nel 1471; nel 1473 Sisto IV provvide a ricostruirlo grazie all’opera di vari architetti, fra cui Giovanni Pietro de’ Gherarducci. E fu proprio una scelta felice quella di Innocenzo III di affidare l’ospedale di Santo Spirito in Sassia,  cui la porta appoggia a destra e che era destinata anche ad assistere l’infanzia abbandonata e i poveri, all’ordine di Santo Spirito.  

lunedì 22 settembre 2014

Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo

Ricerca a cura di Luigi Marsibilio





Giunti al termine di via della Lungara si entra in piazza Della Rovere. Tralasciando il primo palazzo a sinistra, palazzo Salviati, in quanto sarà oggetto di più ampia illustrazione in seguito, dalla parte opposta della piazza si trova l’ospedale Santo Spirito in Sassia con l’omonima porta che descriveremo in altro capitolo. A sinistra della piazza si inerpica verso l’omonimo colle la via del Gianicolo. Sul lato sinistro di questa via, seminascosto, c’è l’imbocco della salita di Sant’Onofrio, aperta nel 1446 dal girolamino Jacobelli, al termine della quale si ha di fronte la scalinata della chiesa omonima, preceduta da un sagrato erboso e che è delimitata su due lati da un portico rinascimentale con archi a tutto sesto su colonne antiche. Sul sito dove in seguito sarebbe sorta la chiesa di S. Onofrio, il Beato Nicolò da Forca Palena, nel 1419 fonda un oratorio, acquistando i terreni grazie alle elemosine dei fedeli. Nel 1439 inizia la costruzione della chiesa a partire dall’oratorio esistente e corrispondente alla attuale Cappella di S. Onofrio, che rappresenta quindi la parte più antica della chiesa. Nel 1517 l’edificio viene completato ma la realizzazione delle decorazioni interne si protrae per tutto il XVI secolo. La realizzazione del complesso monastico mostra caratteristiche architettoniche, stili e soggetti pittorici appartenenti sia al periodo tardo-medievale che a quello rinascimentale. La chiesa è a navata unica a pianta rettangolare absidata, con tre cappelle laterali sul lato est (entrando a sinistra) e due cappelle sul lato ovest (entrando a destra); sul lato corto a nord, sopra l’ingresso, si affaccia la loggia del coro collegata alla galleria porticata sovrastante il chiostro del convento. Nel 1527, durante il Sacco di Roma, un contingente di lanzichenecchi si stabilisce nei locali della chiesa. Nel 1849, durante la battaglia in difesa della Repubblica Romana, le campane della chiesa vengono prelevate per essere fuse ed utilizzate come proiettili da cannone. Fortunatamente Giuseppe Garibaldi risparmia la più piccola delle campane, la cosiddetta “campana del Tasso”. Nei diversi settori della chiesa si conservano importanti affreschi, in particolare: quelli del portico sono del Domenichino; quelli dell’abside di Baldassarre Peruzzi mentre quelli del bellissimo chiostro sono del Cavalier d’Arpino. Da un atrio a destra del portico si accede al chiostro che è a pianta rettangolare con arcate a tutto sesto su colonne più antiche sovrastate da una galleria porticata. Nelle lunette delle pareti sono visibili labili tracce di dipinti della metà del sec. XV che raffigurano scene della vita e della leggenda di S. Onofrio. Gli affreschi furono eseguiti per il giubileo del 1600 da Giuseppe Cesari, Sebastiano Strada e Claudio Ridolfi. Nell’annesso convento Torquato Tasso trascorre l’ultimo periodo della sua vita e la cella dove il poeta muore è stata trasformata in un piccolo museo. Nel museo Tassiano si conservano manoscritti del poeta, antiche edizioni dei suoi libri, la maschera mortuaria e la lapide tombale proveniente dalla chiesa dove il poeta è sepolto nella prima cappella a sinistra. Giacomo Leopardi, dopo aver visitato questo luogo incantevole e suggestivo, in una lettera indirizzata al fratello Carlo scrive: “ fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato a Roma”. Nel 1945, papa Pio XII concede all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro la chiesa e il convento di S. Onofrio al Gianicolo, forse proprio in onore della Gerusalemme liberata di tassiana memoria. Poco più in alto del convento è conservata la cosiddetta “quercia del Tasso”, sotto la quale sembra che il poeta andasse a contemplare e meditare. Il complesso è attualmente diviso fra i Frati dell’Atonement (a cui è affidata la cura spirituale della chiesa), i Cavalieri del Santo Sepolcro e l’Ospedale Bambin Gesù.



lunedì 15 settembre 2014

Palazzo Corsini alla Lungara

Ricerca a cura di Luigi Marsibilio

Sempre percorrendo via della Lungara, tra i palazzi che tra il Cinquecento e il Seicento resero splendida questa via, troviamo Palazzo Corsini. Costruito dal cardinale Raffaele Riario, nipote di Sisto IV, nel periodo 1510-1512. Fra il 1659 e il 1689 vi dimora la regina Cristina di Svezia, che ne fa il centro intellettuale della vita romana, fondandovi un’accademia da cui viene poi derivata quella dell’Arcadia. Nel 1736 il palazzo viene acquistato dalla famiglia fiorentina dei Corsini, che intendevano utilizzarla per sistemare la galleria dei dipinti e la biblioteca di famiglia. Il cardinale Neri Corsini, nipote di Clemente XII, affida i lavori di ristrutturazione ed ampliamento al suo conterraneo Ferdinando Fuga, che per il Papa stava già lavorando al Palazzo del Quirinale e al Palazzo della Consulta. Il Fuga trasforma la piccola villa suburbana dei Riario in una vera e propria reggia, in un’ambientazione rimasta quella originaria, con il fronte uniforme che contrasta con l’insieme scenografico, tipicamente barocco, degli spazi interni costituiti dal vestibolo tripartito, dalla scala a due rampe ai lati della galleria che conduce al giardino e dai cortili laterali. Il monumentale scalone, uno dei più belli di Roma, con le sue grandi finestre, funge da belvedere panoramico sui giardini, posti in pendenza sul colle del Gianicolo. Dopo la morte della regina Cristina nel palazzo hanno dimorato altri illustri personaggi, tra i quali Giuseppe Bonaparte e la principessa Marianna d’Austria. Nel 1833 i Corsini vendono il palazzo allo Stato italiano. Attualmente è la sede dell’Accademia dei Lincei con la relativa ricchissima biblioteca e la Galleria Nazionale d’Arte Antica, dove sono esposti, fra gli altri, quadri di Rubens, Antonio van Dyck, Guido Reni, Guercino e Caravaggio. Nel giardino ha sede l’Orto botanico di Roma.

giovedì 11 settembre 2014

Casa dell'Aviatore: si parla di controinsurezione

Cari amici e sostenitori,
Il 18 Settembre riprenderà il ciclo CONVERSAZIONI organizzato dal CESMA presso la Casa dell'Aviatore.
Come sempre, dopo la conferenza sarà possibile restare a cena (quota di partecipazione 20 Euro).

 logo CESMA
 
--- Invito ---
registrazione da effettuare qui
CONVERSAZIONI
Sulla teoria della guerra, sulla strategia e sulla storia militare.
a cura del Gen. Isp. Basilio Di Martino e del T. Col. Alessandro Cornacchini

Contro-insurrezione: Filippine Algeria Vietnam
Dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale si sviluppò in Malesia un movimento insurrezionale che, sfruttando le particolari condizioni economico-sociali della regione e la situazione determinatasi alla fine del conflitto, puntò a sconvolgere il processo di decolonizzazione mirando all’instaurazione di un regime di stampo comunista. Lo stesso accadde nelle Filippine, minacciando di distruggere la fragile democrazia nata con la dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1946.
Le due campagne di contro-insurrezione rappresentano un caso di studio esemplare sia per gli errori della prima fase, sia per la strategia di successo utilizzata nella seconda, con l’efficace combinazione di riforme sociali e di misure militari.
relatori:
Prof. Gastone Breccia e Gen. Isp. Basilio Di Martino

Roma. Casa dell’Aviatore. Viale dell’Università, 20
18 Settembre 2014 (17.00 – 18.30)

Per la partecipazione è gradita la registrazione da effettuare qui – sul sito www.cesmamil.org/eventi-in-programma troverete le date dei prossimi eventi.
In caso di difficoltà ad utilizzare il formulario, e per la prenotazione della cena si prega di comunicare i propri riferimenti all’indirizzo email cesma.mil@gmail.com.

CESMA - GdC
Dr. Gustavo Scotti di Uccio
Via Marcantonio Colonna 23/25
00192 Roma

mercoledì 10 settembre 2014

Chiesa di San Giuseppe alla Lungara

Ricerca a cura di Luigi Marsibilio



Nell’area dell’ansa del Tevere, a ridosso del quartiere Trastevere, partendo da porta Settimiana si percorre via della Lungara, il lungo asse rinascimentale voluto da papa Giulio II (1508 – 1512). Prima delle opere di regimazione del Tevere era il solo asse urbano fra Trastevere e il Vaticano e costituiva una tra le più belle prospettive di Roma verso il fiume. Ai numeri civici 43 – 45 troviamo la chiesa di San Giuseppe alla Lungara e l’annesso convento. La chiesa, eretta nel 1734 durante il pontificato di Clemente XIII, su progetto di Ludovico Rusconi Sassi, subisce restauri nel corso dell’Ottocento, a cura di Antonio Cipolla; in particolare, nel 1872 viene ricostruita la cupola che era crollata. La facciata si sviluppa a due ordini e l’interno, a pianta ottagonale, richiama architettonicamente il San Carlino borrominiano, in cui prevale la stretta connessione tra la cupola ellittica su pennacchi e la parte del basamento, caratterizzata dal movimento di superfici piane e convesse. All’altare maggiore troviamo un dipinto di Mariano Rossi (1774) “Il sogno di S. Giuseppe”; dello stesso artista altri due dipinti sulle pareti laterali del piccolo presbiterio: a destra “La strage degli innocenti”, a sinistra “L’adorazione dei Magi”.  Sempre all’altare, altri due dipinti: a destra la “Deposizione dalla croce” di Nicolò Ricciolini, a sinistra la “Vergine con i Ss. Anna e Gioacchino” di Girolamo Pesci. In sacrestia si può ammirare un busto marmoreo di Clemente XI e nel soffitto un dipinto raffigurante “Il trionfo della chiesa” di Mariano Rossi.
L’attiguo convento, affidato alla congregazione dei padri Pii Operai, viene edificato nel periodo 1760-64 da Giovanni Francesco Fiori, con una bella facciata ricca di elementi decorativi. Nella cappella al primo piano, tutti i dipinti sono di Mariano Rossi.


Giovanni dalle Bande Nere




Ricerca a cura di Luigi Marsibilio

Giovanni di Giovanni de’ MEDICI,  meglio noto come Giovanni dalle Bande Nere, nasce il 6 aprile 1498 a Forlì. La madre, Caterina Sforza, la signora guerriera di Imola e Forlì, era una delle donne più famose del Rinascimento, che si era strenuamente difesa da Cesare Borgia nella sua rocca forlivese. Il padre, Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, detto il Popolano, era giunto alla corte di Caterina Sforza due anni prima come ambasciatore della Repubblica fiorentina.
Il pargolo viene battezzato con il nome di Ludovico, in onore dello zio Ludovico il Moro, ma dopo l’improvvisa morte del padre avvenuta nel settembre del 1498, la madre gli cambia il nome in Giovanni. Questi passa la propria infanzia a Firenze, nel convento di S. Vincenzo Annalena poiché la madre era prigioniera di Cesare Borgia. Nel luglio del 1501 Caterina, costretta dai Borgia a rinunciare a ogni pretesa su Imola e Forlì, raggiunge il figlio a Firenze e si dedica alla sua educazione, sforzandosi di trasmettergli i valori della nobiltà militare italiana alla quale ella apparteneva. Caterina muore il 28 maggio 1509 avendo poco prima del decesso affidato il figlio alla tutela di Jacopo Salviati, membro di una delle famiglie più antiche e potenti di Firenze, e di sua moglie Lucrezia de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico.
Fin dall’infanzia Giovanni dimostra un temperamento violento e insofferente all’autorità, solo in parte frenato dalla forte figura materna. Da adolescente prevale il suo carattere rissoso e dissoluto, amante delle armi, del gioco e delle donne, e proprio a causa delle sue violente intemperanze è costretto per lunghi periodi lontano da Firenze, nelle sue proprietà di Castello e di Trebbio. Grazie alla intercessione di Jacopo Salviati le intemperanze di Giovanni vengono rimediate ma, nel 1511, non riesce ad evitargli il bando da Firenze, per l’uccisione di un suo coetaneo in una lite tra bande di giovani. Il bando viene poi ritirato l’anno successivo.



Nel 1513 Jacopo Salviati viene nominato ambasciatore a Roma, Giovanni lo segue e grazie sempre all’intercessione del suo tutore, viene iscritto nelle milizie pontificie presso papa Leone X, fratello di Lucrezia de’ Medici. Giovanni vive quasi per intero la sua breve ma intensa vita adulta combattendo al servizio del blocco di potere che si era creato tra l’élite finanziaria fiorentina e i papi della famiglia Medici, Leone X e Clemente VII. Il suo battesimo del fuoco e il suo primo vero comando (una compagnia di cavalleria) avviene nel marzo del 1516 durante la guerra contro Urbino (1516-17), voluta da Leone X per spogliare il duca di Urbino Francesco Maria I della Rovere del suo Stato e del titolo per darli al proprio nipote, Lorenzo di Piero de’ Medici.
Nel 1517 Giovanni sposa la figlia di Jacopo Salviati e di Lucrezia de’ Medici, Maria e da questa unione nasce, il 15 giugno 1519, il loro unico figlio, Cosimo, destinato un giorno a diventare Granduca di Firenze. Tra il 1519 e il 1520, Leone X si serve di Giovanni e delle sue truppe per riaffermare con le armi l’autorità papale su alcuni degli elementi più riottosi della nobiltà dello Stato della Chiesa. Risalgono a questo periodo la maggior parte degli episodi di violenza, duelli e risse sia a Firenze sia a Roma, in virtù delle quali Giovanni sarebbe poi rimasto famoso. Nel 1521 partecipa all’invasione del Ducato di Milano, allora sotto il controllo della Francia, congiungendosi alle forze imperiali e papali comandate da Prospero Colonna.
La campagna del 1521 rappresenta il primo assaggio di guerra vera per Giovanni che fino a quel momento aveva partecipato a conflitti di dimensioni e portata limitate. L’occasione costituisce anche il suo primo diretto contatto con il frenetico processo di sperimentazione tattica che caratterizza la fase finale delle guerre d’Italia. Nel corso della sua breve carriera, Giovanni si distingue per l’abilità e l’aggressività con le quali riesce a sfruttare le potenzialità della cavalleria leggera (sia lancieri sia archibugieri a cavallo) e della fanteria tattica, composta da insiemi organici di picchieri e tiratori, in un periodo di transizione delle tecniche di combattimento. L’evento bellico, infatti, si trasforma da una guerra caratterizzata da frequenti battaglie campali a una prevalentemente di manovra, fatta di piccoli scontri, assedi ed imboscate. Sebbene non fosse un innovatore (come è stato sostenuto dai suoi primi biografi), ma un interprete di altissimo livello della scienza militare del suo tempo, Giovanni emerge quale elemento di spicco della generazione di condottieri che portò a compimento il processo di trasformazione dell’arte della guerra, iniziato in Italia nel 1494 con la calata di Carlo VIII di Valois. La campagna del 1521 si conclude con pieno successo per le forze di Leone X e Carlo V d’Asburgo: nel novembre il capitano generale Prospero Colonna occupa Milano riportando al potere Francesco II Sforza, allora alleato degli Asburgo, mentre Parma e Piacenza tornano a far parte dello Stato della Chiesa. Sfortuna vuole che improvvisamente, il 21 dicembre dello stesso anno, Leone X muore e a Giovanni viene a mancare il suo principale referente politico in un momento critico per la sua carriera. Per manifestare il lutto egli fa annerire le insegne che fino ad allora erano bianche e viola, e tale atto lo rende famoso come Giovanni dalle Bande Nere.
Ai primi del 1522 Giovanni viene nominato governatore delle truppe della Repubblica fiorentina, i cui confini risultavano malsicuri dalle conseguenze politiche e militari della repentina eclissi del potere mediceo a Roma. Nel marzo dello stesso anno però Giovanni, spinto dalla scarsa considerazione mostrata nei suoi confronti sia dagli Imperiali sia dai Medici, decide di accettare le generose offerte che gli vengono profferte dal campo francese.
Le modalità dell’improvviso cambio di bandiera di Giovanni finiscono per nuocere gravemente alla sua reputazione di condottiero, provocando tensioni e spaccature tra le sue truppe.
Alla fine del 1523 Giovanni, che militava nel campo imperiale, si distingue con i suoi nella vittoriosa difesa di Milano assediata dall’esercito francese, guidato dall’ammiraglio di Francia Guillaume Gouffier. Nell’aprile 1524 affronta cinquemila fanti svizzeri, la più temuta fanteria dell’epoca, che avevano disceso la Valtellina per andare in soccorso dei francesi; Giovanni li sconfigge a Caprino Bergamasco, costringendo le truppe francesi a lasciare l’Italia.
Terminate le operazioni in Lombardia con un’altra dura sconfitta per la Francia, Giovanni, grazie anche alla preziosa mediazione della moglie Maria Salviati, torna al servizio del ramo principale della famiglia Medici, il cui potere era di nuovo saldo sia a Firenze sia a Roma in seguito alla morte di Adriano VI, che avviene il 14 settembre 1523, e all’elezione del cardinale Giulio de’ Medici a papa col nome di Clemente VII, il 19 novembre 1523. Il nuovo pontefice paga tutti i debiti di Giovanni che però è costretto a passare con i francesi. Nel dicembre 1524 Giovanni, alla testa di duemila fanti e circa duecento cavalleggeri, si unisce all’esercito francese che sta assediando Pavia, dove si erano ritirate le truppe imperiali sotto il comando di Antonio de Leyva. E proprio durante una scaramuccia sotto le mura della città assediata, Giovanni viene ferito gravemente alla gamba destra da un colpo di archibugio; costretto a lasciare il campo per farsi curare, non partecipa alla decisiva battaglia di Pavia (24 febbraio 1525), che si conclude con la spettacolare disfatta dell’esercito francese e la cattura dello stesso re Francesco I. Indebolite dalle perdite sostenute durante l’assedio e prive del loro capo, nel corso della battaglia le truppe di Giovanni vengono travolte e disperse dalla sortita della guarnigione di Pavia.
Il rovinoso crollo delle fortune francesi in Italia seguito alla sconfitta di Pavia e la minaccia dell’affermarsi dell’egemonia asburgica sulla penisola provocano la formazione della Lega antimperiale di Cognac, siglata il 22 maggio 1526 tra Francia, il duca di Milano, Venezia, Firenze e il papa, con l’appoggio esterno dell’Inghilterra. Giovanni viene nominato capitano generale della fanteria italiana dell’esercito della Lega, destinato a scacciare gli Imperiali dal Ducato di Milano. Il 20 settembre 1526 i simpatizzanti imperiali Colonna e i loro partigiani penetrano a sorpresa in Roma, obbligando con le armi Clemente VII a ritirarsi dalla Lega per quattro mesi. Per mantenere il proprio comando Giovanni, che era soldato del papa, si trova nuovamente a passare al servizio del Re di Francia. La situazione di sostanziale stallo della guerra in Lombardia seguita alla forzata, seppur momentanea, neutralità di Clemente VII, viene interrotta dalla calata dal Tirolo di 12 mila fanti tedeschi reclutati e guidati da Georg von Frundsberg, che arrivano il 21 novembre a Castiglione delle Stiviere dopo aver superato le difese dei valichi alpini predisposte dall’esercito veneziano. Per impedire il congiungimento dei lanzichenecchi di Frundsberg con le residue forze imperiali comandate dal duca Carlo di Borbone connestabile di Francia, Francesco Maria I Della Rovere, capitano generale della Lega in Italia, decide di seguire il consiglio di Giovanni, lasciando le truppe francesi e svizzere a presidiare il campo fortificato presso Vaprio d’Adda, posto a copertura di Milano, e muovendosi con le truppe più mobili della Lega, cioè la cavalleria e la fanteria italiane, per intercettare i Tedeschi prima che potessero attraversare il Po e rompere così il contatto con le forze della Lega. L’azione delle truppe italiane, guidate personalmente da Giovanni con la consueta aggressività, risulta di particolare efficacia, e sta cominciando a dare i primi risultati quando, il 25 novembre, alla conclusione di uno scontro con la retroguardia dei lanzichenecchi a Governolo (alla confluenza del Mincio nel Po, nel Marchesato di Mantova), Giovanni viene colpito da un colpo di falconetto (un pezzo di artiglieria leggera), che gli fracassa il femore della gamba destra. Trasportato tra molte difficoltà a Mantova, nel palazzo del suo amico e compagno d’armi Luigi Gonzaga, il ritardo nei soccorsi e la gravità della ferita rendono vana l’amputazione dell’arto leso, eseguita dal celebre medico ebreo Mastro Abramo.
Giovanni muore a Mantova nella notte tra il 29 e il 30 novembre 1526, probabilmente in conseguenza di una grave infezione. Sebbene nel corso della sua esistenza avesse raggiunto una certa fama, egli non si era sostanzialmente distinto dagli altri giovani e capaci comandanti della sua generazione, che erano caduti sul campo nel corso della fase più sanguinosa e violenta delle guerre d’Italia prima di poter raggiungere la maturità militare. Giovanni aveva partecipato a una sola grande battaglia (quella della Bicocca), giocando in essa un ruolo abbastanza marginale e militando tra i perdenti. I suoi più grandi successi li aveva ottenuti al comando di alcune centinaia di cavalieri e di una unità di fanteria le cui dimensioni non superavano quelle di un reggimento o, secondo la terminologia militare italiana dell’epoca, di un «colonnello» (termine che indicava sia l’unità, cioè un corpo tra le 1000 e le 3000 unità, sia il suo comandante), raggiungendo il rango di generale solo nel corso della sua ultima campagna.


La Via Appia. Tra Curiosità, Storia e Note amene













giovedì 4 settembre 2014

BUON RIENTRO DALLE VACANZE

a tutti i seniores un augurio di un felice rientro dalle vacanze e dalle licenze. dalla prossima settimana riprenderà l'inserimento dei post su questo blog in concomitanza con la ripresa della attività della Associazione

martedì 1 luglio 2014

Il Tempo delle Oche Verdi e del Lardo Rosso


Ricerca. Ulteriori notizie su l'Acqua Lancisiana

 
 
 
SULLA SINISTRA DELLA FOTO SOPRA, IL PALAZZO SOTTO LE MURA ERA LO STABILIMENTO DELL'IMBTTIGLIAMENTO DELL'ACQUA LANCISIANA (PRIMA META' DEL NOVECENTO)
 
CON LA COSTRUZIONE DEL TRAFORO, QUESTO PALAZZO FU DEMOLITO
 
AI SENIORES SI CHIEDONO INFORMAZIONI E NOTIZIE IN MERITO ALL'ACQUA LANCISIANA E ALLA REALTA' AD ESSA COLLEGATA ORMAI SCOMPARSA
 
 
 
 
 
 

 
PUNTO DI VENDITA DELL'ACQUA LANCISIANA AL MINUTO
 
 
scrivere a:
(Punto di contatto Adele Pizzullo, Luisa Bocci, Riccardo Arena)

martedì 24 giugno 2014

1. PROBLEMATICHE IDRICO-GEOLOGICHE DI PALAZZO SALVIATI


PROBLEMATICHE IDRICO-GEOLOGICHE DI  PALAZZO SALVIATI

di Riccardo Arena
 
Le problematiche idriche del sottosuolo dell’area in cui sorge Palazzo Salviati, tornano alla ribalta ogni qualvolta precipitazioni meteoriche straordinarie producono l’allagamento del vano sottostante l’Auditorium con affioramenti di umidità anche negli ambienti confinanti.

Si è disquisito molto, specie durante i sopralluoghi tecnici, delle probabili ripercussioni procurate alla falda freatica dagli interventi che, in varie epoche, hanno, man mano, modificato l’equilibrio idrogeologico locale, basti pensare al:

 

-          muraglione di contenimento degli argini del fiume (fine ‘800/primi ‘900);

-          tunnel Principe Amedeo di mt. 296 tra Porta Cavalleggeri e il Lungotevere (1942) e le successive recenti rampe in galleria di collegamento col Gianicolo (2000), epoca del ritrovamento e lo spostamento della Villa di Agrippina(1);

-          sottopasso autostradale di lungotevere (2000);

-          parcheggio di sei piani nelle viscere del Granicolo per il  Giubileo 2000 che ha comportato uno svuotamento della collina per 185.000 mc.;

-          opere di costruzione e successivo consolidamento degli edifici sovrastanti;

 

Nota Tecnica:

Le falde acquifere sotterranee coesistono a varie profondità, spesso una superiore scorre parallelamente ad altre più profonde, divise da strati di terreno impermeabili che le contengono e canalizzano.

Quando è necessario (interferenza con costruzioni), stante l’impossibilità a deviarle, in quanto si sviluppano in modo lenticolare più o meno ampio, si ricorre, per mezzo di trivellazioni,  alla rottura del diaframma tra una falda e l’altra per abbassarne la valenza piezometrica, costringendola a ricercarsi un “letto” in strati più profondi. Nel caso di Palazzo Salviati, per ovviare agli inconvenienti in premessa, si è considerata anche questa ipotesi, ma non è stata ritenuta idonea in quanto la scomparsa/riduzione della falda avrebbe ridotto gli spazi intermolecolari del terreno su cui, da secoli, poggiano(“galleggiano”) le strutture murarie dell’edificio con conseguenti incontrollabili assestamenti differenziati.

 

Per meglio comprendere la problematica odierna bisogna considerarla nel contesto fisico e urbanistico in cui si è evoluta, non perdendo di vista i vari interventi di urbanizzazione che, talvolta impropri, hanno determinato l’attuale stato di cose.

Le strade, gli edifici, il fiume, le esigenze economiche, sono fattori che nelle varie epoche hanno avuto il loro peso nella trasformazione di quest’angolo di città.

 

Qualsiasi territorio al di sotto di alture è per propria natura soggetto, a causa della gravità, ad affioramenti spontanei generati dalle vene d’acqua che si formano nelle fenditure dei terreni sovrastanti.

Per quanto attiene a Palazzo Salviati, il fenomeno in atto, evidenziatosi da qualche anno, è ascrivibile a tale casistica, tanto da rendere indispensabile l’installazione di pompe di aggottamento per mantenere la quota di falda a circa un metro sotto il piano di campagna, soprattutto nella zona interessata dalla riqualifica strutturale.

All’epoca della costruzione (1999-2003) del Complesso Mensa Auditorium, le maestranze avevano rilevato che un fosso di circa mc. 1,5, preesistente, era costantemente colmo di acqua. Allo scopo di capire il fenomeno ed anche per facilitare le attività del cantiere, fu tentata un’operazione di drenaggio, a mezzo di pompe e tale fosso fu letteralmente prosciugato.

Incredibilmente, la mattina dopo era di nuovo colmo d’ acqua limpidissima e fresca, tanto che qualcuno ipotizzò una rottura di qualche condotta idrica comunale interrata; ipotesi poi scartata poiché un tale evento non sarebbe potuto persistere a lungo senza essere rilevato sia dall’azienda erogatrice che dagli utenti.

A distanza di tempo i ripetuti fenomeni di affioramento dell’acqua, sia  sotto forma di veri e propri allagamenti dei locali più bassi, che di trasudazioni su pavimentazioni e pareti, hanno avvalorato le ipotesi su una situazione idrica sottostante la cui complessità, stante i numerosi interventi infrastrutturali della zona, risulta di difficile definizione e controllo.

Nell’ottica di dover convivere con situazioni solo in parte modificabili, al solo scopo cognitivo, lo scrivente ha iniziato una personale, lenta, opera di ricerca, nell’ambito della quale sono emerse realtà locali ormai dimenticate.

Non potendo contare su  testimonianze dirette degli abitanti del luogo ( i discendenti delle vecchie famiglie  trasteverine del luogo hanno lasciato man mano il posto ad una nuova tipologia di abitanti, sovente stranieri, che rilevando le vecchie casupole, ne hanno fatto appartamenti di pregio), è stato necessario elaborare i dati  più recenti per risalire a situazioni di qualche decennio fa, utilizzando raffigurazioni pittoriche e fotografiche, correlate da riscontri storico-scientifici, reperibili, per quanto possibile, nel museo del vicino Ospedale Santo Spirito (detto a suo tempo Ospedale dei Pazzi), prima struttura sanitaria di Roma (727), che da secoli, è testimone delle vicissitudini locali.

 

Ospedale S. Spirito e zona Lungara in un’incisione di Antonio Tempesta del 1593

 

Gli inconvenienti idrico-strutturali a cui sarà legato per sempre Palazzo Salviati hanno però un risvolto romantico di particolare fascino. Quell’acqua che spesso affiora qua e là nel Palazzo, quell’acqua su cui vigilano le pompe di sentina, regolandone il livello, altro non è che ciò che rimane di un’antica acqua proveniente da una fonte conosciutissima dai  romani fino alla metà del ‘900, la cui origine con ogni probabilità si trova dietro Palazzo Salviati nel profondo costone del Gianicolo: l’acqua Lancisiana,  potrebbe essere addirittura la stessa che sgorgava freschissima dalle fonte del dio Giano, a cui gli antichi romani avevano dedicato il colle.

Prezioso liquido le cui caratteristiche furono sfruttate ed esaltate nell’ambito dei protocolli terapeutici del vicino Ospedale di Santo Spirito, struttura che contribuì a dare in epoca relativamente moderna credibilità scientifica a tale fonte.

 

 

2. PROBLEMATICHE IDRICO-GEOLOGICHE DI PALAZZO SALVIATI


CENNI STORICI SULL’OSPEDALE SANTO SPIRITO


 di Riccardo Arena
 
A Roma, in epoca remota, non esisteva una vera e propria assistenza per i malati. Le cure venivano praticate nell’ambito della famiglia dal “pater familias”. Già a partire dal III secolo a.C. nacquero luoghi pubblici dedicati all’assistenza ai malati. Una delle prime forme furono i templi o asclepei e le medicatrinae o tabernae mediche, cioè ambulatori annessi alla casa del medico dove si praticavano cure a metà strada tra sacralità e magia che avevano ben poco a che fare con la medicina intesa in senso moderno.

Funzionavano invece come ospedali i valetudinaria, grandi costruzioni per lo più private, non di derivazione greca ma istituzione prettamente romana. Erano presenti presso le grandi aziende agricole, le palestre e soprattutto presso gli accampamenti. Questi ospedali non erano aperti al cittadino comune, ma vi venivano curate solo le persone necessarie al buon funzionamento dello Stato: i servi delle aziende agricole, gli atleti e i militari.


Per avere l’ospedale gratuito e aperto a tutti bisogna aspettare quel cambio di mentalità che si verificò con il cristianesimo. Non a caso, si fanno risalire all’imperatore cristiano Costantino i primi esempi di ricoveri per malati, precursori degli ospedali moderni. Erano chiamati xenodochi. Nell’VIII secolo gli xenodochi accrebbero le proprie disponibilità, tanto che l’assistenza venne estesa anche ad altre fasce di bisognosi, come le vedove e gli orfani. La Chiesa ne riconosceva l’alto valore sociale di carità ed assistenza pubblica e s’impegnò nei vari Concili al loro mantenimento e alla loro diffusione.


La prima testimonianza sul cambiamento del nome risale al 724: in una carta di donazione di beni alla chiesa di San Quirico di Capannoli a Lucca troviamo citato un “ospitale”, e già intorno all’anno Mille si vanno sempre più diradando le notizie relative agli xenodochi, sostituiti ormai ovunque dagli “ospitali”. Tra gli ospedali più antichi di Roma troviamo l’
Ospedale Santo Spirito in Sassia (1198) per opera di Innocenzo III, le cui origini però si fanno risalire al 727 d.C. quando il re del Wessex, fondò la “schola saxonum”, cioè un albergo, ospizio, ospedale, chiesa e cimitero per accogliere gli Angli e i Sassoni che, dopo l’evangelizzazione da parte di Gregorio Magno, sempre più numerosi venivano a visitare le tombe apostoliche a Roma. Altre “scholae” di questo tipo sorsero un po’ ovunque a Roma: ve ne erano per i Frisoni, i Franchi, i Longobardi, gli Ungari, e perfino per gli Etiopi e gli Armeni, ed erano mantenute dai rispettivi paesi.

L’Ospedale, dopo varie traversie, tra cui un incendio che distrusse completamente l’originario edificio innocenziano, fu completamente ricostruito da Sisto IV tra il 1473 e il 1478.

 

 

L’acqua Lancisiana

Fin dal 1580 si parlava delle ottime qualità terapeutiche di un'acqua che sgorgava sulla riva destra del Tevere sotto al Gianicolo. Nel 1720 Lancisi, medico curante dell'allora Papa Clemente XI, G. F. Albani (1700-1721), canalizzò tutto il percorso naturale della sorgente, dalle pendici del Gianicolo, a ridosso delle rovine dell’antico Ponte Trionfale, fino alle immediate adiacenze dell'ospedale Santo Spirito (detto a suo tempo de’ Pazzi), costruendo una splendida fontana con pubblico accesso.









 Immagini dei resti del ponte Trionfale

 

Mascherone dell’antica fontana dell’Acqua Lancisiana

Cento anni dopo la fontana fu chiusa al pubblico per essere utilizzata ad esclusivo uso dell'ospedale. A seguito delle proteste dei trasteverini, nel 1830 fu costruita una nuova, piccola fontana a lato dell'ospedale, da cui tornò a sgorgare una parte dell'acqua terapeutica. Un ulteriore allargamento dell'ospedale, nel 1863, determinò lo spostamento della fonte quasi di fronte a palazzo Salviati. (Figura sotto)

 



Acquerello della fontana dell’Acqua Lancisiana  di Ettore Roesler Franz.

Sulla sinistra, un pilone del vecchio Ponte dei Fiorentini detto anche del Soldino (2)

 

Infine nel 1897, con la sistemazione degli argini del Tevere, l'acqua terapeutica tornò a scorrere, ancora per pochi decenni, da due nicchie ricavate a mezza altezza dei muraglioni, a cui si accede tuttora attraverso due scale simmetriche.  (Immagini sotto)
 
Immagine frontale delle due rampe facenti parte del complesso del Porto Leonino

( Ex approdo mercantile del Vaticano)

 

 

 

                          Immagini della nicchia  di destra dell’Acqua Lancisiana, ormai inaridita.

Fino a metà dello scorso secolo il luogo era meta usuale di coloro che riconoscendo le qualità terapeutiche dell’acqua, vi si recavano alla stregua di un luogo termale.



 

Mescita artigianale dell’acqua in prossimità della fonte durante gli anni ’50.

Sullo sfondo Palazzo Salviati, con i piloni del Ponte del Soldino.

 

Visione di Piazza della Rovere prima della creazione del la galleria Principe Amedeo ultimata nel 1942.

L’edificio sulla destra, prossimo alle mura, era lo stabilimento di imbottigliamento dell’Acqua Lancisiana.

Dagli anni '50 l’acqua non sgorga più dalla fontana per via delle infrastrutture edifica nella zona che per l’inquinamento della falda, ma si disperde liberamente nel terreno sottostante.